Respingiamo le denunce verso chi lotta contro la repressione
- marzo 14, 2018
- in misure repressive
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Riprende la campagna per Nadia Lioce e contro il 41 bis, in vista dell’udienza del 4 maggio
Il 24 novembre scorso a L’Aquila, in occasione della terza udienza del processo a Nadia Lioce per “disturbo della quiete o del riposo delle persone”, un centinaio di compagne e compagni hanno manifestato contro il regime di tortura del 41 bis ed espresso la loro solidarietà a Nadia, unica donna, prigioniera politica, ancora sottoposta a questo infame regime detentivo, a cui ha avuto la forza di ribellarsi.
La si accusa di aver reagito a ogni sequestro e vessazione quotidiana, battendo una bottiglietta di plastica vuota contro la porta blindata della cella in cui è sepolta.
E oggi 31 compagne e compagni sono accusati di aver disobbedito alle prescrizioni della questura dell’Aquila, che voleva di fatto vietare quella manifestazione in virtù dell’art. 18 comma 5 del fascistissimo Regio Decreto n.773 del 18 giugno 1931.
Respingiamo questo tentativo di reprimere chi lotta, di criminalizzare la solidarietà verso i detenuti politici rivoluzionari. Questa battaglia continuerà più ampia e forte di prima.
Come compagne del movimento femminista proletario rivoluzionario ribadiamo la necessità e l’urgenza, di fronte al moderno fascismo che avanza, di una mobilitazione di massa per la libertà delle prigioniere politiche e dei proletari ribelli rinchiusi nelle carceri di questo Stato borghese.
E oggi abbiamo anche la “voce” dall’interno del carcere per combattere contro ogni tentativo di isolamento, criminalizzazione delle lotte. Il memoriale che Nadia Lioce ha depositato presso il Tribunale di L’Aquila il 24 novembre offre un’altra chiave di lettura del 41 bis, agli antipodi delle rappresentazioni mediatiche. In esso può riflettersi non solo la condizione di chi è reclusa/o in 41 bis o in altro regime detentivo, ma anche la condizione di tante donne e uomini “detenuti” in fabbrica, nei posti di lavoro, nelle scuole-azienda, dove vige sempre più un regime autoritario, repressivo, un potere e un controllo sempre più stringente, che tende ad isolare, deridere, annichilire chi non si mostra collaborativa/o e compiacente con il padrone o chi ne fa le veci.
Rilanciamo pertanto, in vista della prossima udienza per Nadia Lioce che si terrà a L’Aquila il 4 maggio, la proposta di organizzare insieme assemblee nei vari territori, affinché si dia una base più visibile, estesa e di massa alla campagna per Nadia Lioce. Assemblee per spiegare ai lavoratori, ai giovani, alle realtà di movimento locali, alle donne in lotta contro le violenze reazionarie di questo sistema sociale, la vicenda di Nadia e dei prigionieri rivoluzionari, interna all’azione repressiva violenta dello Stato; per denunciare a tutti cosa è realmente il 41bis, avvalendoci del documento di Nadia Lioce; per chiamare alla solidarietà in varie forme, raccogliendo vari contributi. Perché il 4 maggio vogliamo essere tante e tanti di più
MFPR
Info: mfpr.naz@gmail.com
Di seguito proponiamo la lettura di uno stralcio del documento di Nadia Lioce, sulla specificità della sezione 41 bis femminile dell’Aquila:
“La specificità della sezione 41 bis femminile dell’Aquila è quella di essere stata istituita da zero. Cioè scegliendo: ubicazione geografica e strutturale, personale assegnato e sua formazione, e il trattamento a cui sottoporre le “politiche” per cui è nata. E ciò potendo contare sul fatto che le prigioniere sottoposte alla misura non avessero un’esperienza pregressa, nemmeno storica, del 41 bis (misura che viene previsto possa essere applicata anche ai politici nel 2002). Inoltre, la mancanza di una loro coesione per ragioni di forza maggiore, ha reso più praticabile un trattamento di “massimo rigore”.
Col passare degli anni, e radicato l’insediamento e le sue caratteristiche di fondo, la particolarità è stata essenzialmente quella di essere poche.
Ma è necessario fare un passo indietro.
Fino al 2005, la sezione 41 bis femminile era quella di Rebibbia, a Roma, dove le restrizioni applicate erano quelle di legge e generali, e il personale penitenziario era ordinario.
Quella sezione nel 2009 chiuse.
In quella aquilana, aperta nell’ottobre 2005, per applicare il “massimo rigore” fu adottato l’espediente di elaborare ed affiggere nella saletta della sezione un regolamento apposito per la sezione, che voleva dare l’impressione che, data la peculiarità di genere della sezione, essendo femminile in un carcere esclusivamente maschile, ne servisse uno apposta, altrimenti esisteva un regolamento di istituto che era vigente a tutti gli effetti.
In realtà, quando nel 2006 fu chiesto di poter acquisire il regolamento d’istituto – tutti gli istituti devono averne uno – non fu opposto un diniego, non sarebbe stato giustificabile, ma fu affissa una copia del regolamento mancante di alcune pagine iniziali e anche al suo interno. Se ne dovette perciò reclamare l’affissione nella sua interezza al Magistrato di sorveglianza. E infatti così fu fatto quando il magistrato lo ordinò.
Allora si poté scoprire che, quelle mancanti, erano pagine concernenti modalità di perquisizione personale, quantità e generi alimentari, di vestiario e altro, detenibili in cella. Ambiti in cui la prassi nella sezione femminile non osservava il regolamento a scapito delle detenute, fino a quel momento ancora poco esperte.
La sottoscritta farà alcuni esempio pratici: le “perquisizioni personali con denudamento” venivano fatte con denudamento integrale nonostante il regolamento d’istituto prescrivesse che il detenuto restasse con gli indumenti intimi.
Un altro esempio: il regolamento d’istituto prevedeva che in cella si potessero detenere 10 pacchetti di sigarette. Quello di sezione non contemplava l’argomento, sicché la quantità detenibile veniva comunicata oralmente. Diventarono 8, poi 6, poi 4. E il momento della decisione di ridurre da 8 a 6 ecc. era quello in cui nel corso della perquisizione della cella, a quel tempo settimanale, se ne trovavano 7, poi 5 e così via.
Alla detenuta veniva contestata la detenzione di un “eccesso”, alla prevista e scontata rimostranza, la prima volta c’era l’avvertimento, la seconda il rapporto disciplinare. E così per ogni variazione in senso restrittivo che potesse/volesse essere inventata.
A quel tempo, fino a tutto il 2009, era un metodo, poi è diventato periodico, mentre, più in generale, anche sui generi detenibili in cella il dipartimento ha sussunto molte delle potestà prima in capo, almeno formalmente, ai direttori.
Come detto, la particolarità della sezione femminile 41 bis è ora in buona parte dovuta alla scarsità di detenute, un dato di fatto che di per sé si traduce in una pressione più elevata, e che consente di gestire la frequentazione alternata dei comuni passeggi e della saletta, anche formando “gruppi” di due persone.
E poiché come prima opzione l’amministrazione privilegia la composizione di gruppi di numero minimo di persone, i “gruppi”, salvo cause di forza maggiore, sono sempre di due donne.
I gruppi di due persone nella vita civile si chiamano coppie. Anche in carcere, tempo fa, la definizione di “gruppo”, almeno nelle controversie insorte tra amministrazione, detenuti e magistratura, rispettava il senso comune. Il gruppo, cioè, era costituito da un minimo di 3 persone.
I gruppi di 2-3 persone, inoltre, erano limitati alle “aree riservate”, cosi dette perché braccetti separati “monogruppo”, isolati dagli altri e con un trattamento più duro, fino al 2009 presenti in poche unità per carcere ove fossero ubicate.
Trovate forme di legittimazione, di fatto con la legge del 2009, “l’area riservata” è diventata il modulo segregativo della popolazione detenuta al 41 bis. E anche in questo senso, la sezione femminile, che dall’apertura della sezione de L’Aquila è sempre stata un’area riservata per un massimo di 4 detenute – fino al 2013 – si è ritrovata ad essere il “benchmark” ed infine “la nuova normalità”.
Come si può intuire, i mini gruppi di 2 persone sono la composizione a massimo condizionamento reciproco.
Ad esempio offrono la possibilità con una sanzione di erogarne informalmente 2.
È quello che sarebbe successo alla sventurata detenuta che fosse capitata nel gruppo con la sottoscritta, anche dall’aprile 2015 all’ottobre 2017, quando avrebbe dovuto restare sola al passo delle sanzioni scontate dalla sottoscritta per la protesta effettuata dei fatti di un segmento della quale qui si discute.
E invece non è successo perché la sottoscritta, anche per senso di responsabilità verso le altre detenute, all’atto del trasferimento in una sezione più grande in grado di custodire ulteriori detenute sopravvenute, ha scelto di non condividere gruppi con nessuna, ovvero dal gennaio 2013 a tutt’oggi.
In parole povere, composizioni di gruppi minimali sono una condizione che genera isolamenti in se stessa perché l’unico altro componente resta solo in casi di: sanzione, malattia, colloquio, udienza, o semplice, legittima, mancanza di volontà di uscire dalla cella, o di svolgere le medesime attività durante l’ora d’aria o di saletta, dell’altro.
Tutte condizioni concretamente verificatesi centinaia di volte dal 2005, da quando cioè L’Aquila aprì la sezione femminile per “le politiche”.
Dopodiché l’essere umano è per sua natura sociale, cioè lo è sia interiormente che nelle sue interazioni, non lo è solo circostanzialmente, perciò le circostanze sono ciò con cui potenzialità e istanze si misurano e con cui le persone possono maturare, anzi tanto più possono aspirare a migliorarsi, quanto più difficili fossero le circostanze che si presentassero.
La sottoscritta, non potendo sapere quale sia l’idea dei presenti sulle comunicazioni nelle sezioni 41 bis, immaginando che non fossero note né le circostanze derivanti dalla propria condizione di “solitudine” e dunque di preclusione assoluta delle comunicazioni con altre detenute, né che – tra le altre cose – all’epoca dei fatti la sottoscritta avesse conosciuto soltanto due delle altre sei detenute presenti nella sezione femminile in quanto già a L’Aquila dal 2010 – 2011, e infine immaginando che possa essere ritenuto – erroneamente – che una situazione del genere, contrastando con un principio di inviolabilità della persona, non possa verificarsi in questo paese, ha preferito dilungarsi a illustrare le condizioni d’esistenza proprie e delle altre detenute, nel regime di prigionia di 41 bis, prima di entrare nel merito di quanto in oggetto.”