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Ricevere o spedire libri al 41bis? Decide la Consulta

Il Dap dal 2011 dispone il divieto, confermato nel 2014, dopo una pronuncia della Cassazione che riteneva le limitazioni in linea con le finalità preventive del regime del carcere duro. Ora la Consulta si deve esprimere al quesito sollevato da Giudice di Sorveglianza di Spoleto

La Corte Costituzionale oggi si dovrà esprimere sulla legittimità o meno della norma che vieta ai detenuti reclusi al 41 bis di ricevere o spedire libri. A rivolgersi alla Corte è stato Fabio Gianfilippi, il magistrato di sorveglianza di Spoleto. Con un’ordinanza del 24 aprile 2016 il giudice dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 41 bis comma 2 quater, lettere a e c dell’Ordinamento penitenziario, nella parte in cui consente all’Amministrazione penitenziaria di adottare, tra le misure di elevata sicurezza volte a prevenire contatti del detenuto in regime detentivo differenziato con l’organizzazione di appartenenza o di attuale riferimento, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri e riviste, in contrasto con diversi articoli della Costituzione come l’articolo 15, il diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza, l’articolo 21, il diritto all’informazione e gli articoli 33 e 34 che garantiscono il diritto allo studio.

L’occasione è fornita dal reclamo con il quale un detenuto, sottoposto al regime detentivo speciale dell’articolo 41bis, lamenta le limitazioni imposte dalla Casa circondariale presso cui è ristretto a seguito di una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in materia di divieto di ricezione di libri dall’esterno. Si tratta, nell’ottica del del detenuto che ha predisposto il reclamo, di limitazioni che pregiudicherebbero i diritti costituzionalmente garantiti di corrispondere e informarsi e che si traducono, tra l’altro, nel divieto di ricezione di libri e riviste da parte dei familiari, anche tramite pacco consegnato al colloquio o spedito per posta, nonché nel divieto di invio dello stesso materiale da parte del detenuto ai familiari.

LE CIRCOLARI DEL DAP

La circolare incriminata del Dap del 16 novembre 2011 ( n. 8845) è stata emessa all’indomani della riscontrata elusione dei controlli sulle comunicazioni con l’esterno da parte di alcuni detenuti in regime di 41 bis: voluminosi libri venivano consegnati al momento dei colloqui con i familiari o inviati tramite pacchi postali, e restituiti con analoghe modalità in tempi tali, tut- tavia, da non consentire ragionevolmente l’integrale lettura di quanto scambiato. È sorto quindi il sospetto che attraverso lo scambio di materiale stampato stessero avvenendo illecite comunicazioni dei detenuti con l’esterno, sottratte al controllo della “censura”, con sostanziale svilimento delle ragioni del regime speciale di detenzione. Per questo, il Dap ha ordinato, fra l’altro, alle direzioni degli istituti che ospitano detenuti 41 bis, di impedire loro di ricevere dall’esterno, e viceversa consegnare, qualsiasi tipo di stampa, sia nel corso dei colloqui sia per posta.

In seguito a tale circolare, erano partite varie denunce da parte dei detenuti reclusi al 41 bis. Molti reclami vennero accolti tramite le ordinanze di alcuni giudici di sorveglianza sospendendone i divieti. I pubblici ministeri si opposero a tali ordinanze e i loro ricorso furono confermati in Cassazione. Infine una sentenza della suprema Corte del 16 ottobre 2014 ha dato ragione definitivamente al Dap, rendendo così definitiva questa restrizione. In seguito è intervenuta una nuova circolare Dap dell’ 11 febbraio 2014, che ribadisce i contenuti della precedente sulla scorta della pronuncia della Cassazione dell 23 settembre 2013 nei confronti di un altro detenuto in regime differenziato, nella quale la Suprema Corte considera le limitazioni in linea con le finalità preventive del 41- bis, non risultandone menomati il diritto all’informazione e allo studio. Per tale motivo l’amministrazione ha imposto che si tornino ad applicare i divieti a tutti i detenuti in regime differenziato.

IL “CARCERE DURO”

Il regime di 41bis è il punto più rigido della scala del trattamento differenziato che regola il sistema carcerario italiano. È stato introdotto ad opera della “legge Gozzini” n. 663 del 1986, per consentire al ministro della Giustizia di sospendere le ordinarie regole di trattamento dei detenuti in caso di rivolta o di particolari esigenze di sicurezza all’interno dell’istituto penitenziario. È però sulla scorta dell’onda emotiva suscitata dai tragici fatti di Capaci che il decreto legge n. 306 dell’ 8 giugno 1992 aggiunge il ben più noto secon- do comma, che attribuisce al ministro della Giustizia la facoltà di sospendere – quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica – quelle regole di trattamento e quegli istituti che possano porsi in contrasto con esigenze di ordine e sicurezza, nei confronti di detenuti e di internati per delitti che si potrebbero genericamente definire “di mafia”, laddove vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva. Sebbene avesse originariamente natura temporanea, nell’ottica della “strategia dell’emergenza”, il regime è stato prorogato da successive leggi, fino ad essere stabilizzato dalla legge n. 279 del 2002. Nonostante gli sforzi della commissione parlamentare presieduta dal senatore Luigi Manconi, in Parlamento ancora non si è aperto nessun dibattito per migliorare le condizioni del 41 bis. Secondo diversi studi, la frequenza di suicidi tra i detenuti al 41- bis è 3,5 volte maggiore rispetto al resto della popolazione reclusa. Ma si può morire facilmente anche a causa del ritardo nel diagnosticare, nonostante i sintomi, grave patologie. Uno degli ultimi casi riguarda Feliciano Mallardo, condannato in primo grado a 24 anni per estorsione aggravata e associazione camorristica, morto l’anno scorso per un cancro ai polmoni, scoperto quando aveva già raggiunto i sette centimetri di massa, e metastasi al fegato. La moglie e i figli l’avevano visto l’ultima volta venti giorni prima che morisse, ma attraverso un vetro divisore e quindi senza nessuna possibilità di contatto. Il 41 bis è un sistema di carcerazione speciale che prevede un isolamento per 22 ore al giorno, un solo colloquio al mese con i familiari dietro un vetro, divieto assoluto di ricevere libri e quasi nessun rapporto sociale con altri detenuti. Il senatore Luigi Manconi ha più volte spiegato, anche sulle pagine de Il Dubbio, che il 41 bis in realtà non dovrebbe essere un carcere duro. Il suo scopo dovrebbe essere uno solo: quello di impedire i rapporti tra i detenuti e la criminalità esterna. «Tutte le misure finalizzate a impedire il collegamento con l’esterno sono legittime – ha più volte sintetizzato Manconi – ma non quelle che rendono insensatamente più intollerabile la pena».

Oggi la Corte costituzionale decide su uno dei diritti che vengono negati nel nome della sicurezza. Il relatore del caso è il giudice della Consulta Franco Modugno, il costituzionalista indicato dal Movimento Cinque Stelle. Sarà lui a decidere se verrà nuovamente data la possibilità ai detenuti al 41 bis di ricevere e dare i libri. Un diritto negato che recide soprattutto l’affetto familiare, perché – come ha scritto nell’ordinanza il magistrato di sorveglianza di Spoleto – con un libro «può evidentemente assolversi la necessità di far conoscere uno stato d’animo, di veicolare un messaggio di vicinanza, di condividere una certa urgenza emotiva, di manlevare in concreto il detenuto delle spese dell’acquisto di un testo manifestandogli così il sostegno familiare».

Damiano Aliprandi da Il dubbio