Riforma dell’ordinamento penitenziario: l’elefante sta partorendo un topolino
Il lungo dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge delega per la riforma della giustizia e le modifiche all’ordinamento penitenziario aveva lasciato ben sperare per un superamento del 4bis e degli automatismi che determinano l’impossibilità di accedere a qualsivoglia beneficio penitenziario.
Dagli Stati generali dell’esecuzione penale erano uscite indicazioni precise che andavano verso quell’umanizzazione della pena già prevista dalla Gozzini e richiamata in diverse circolari. Tra i punti qualificanti dei lavori svolti, a nostro avviso, vi era certamente l’abolizione dell’ergastolo ostativo e la revisione del 4bis liberandolo, finalmente, dalla natura emergenziale e vendicativa con cui era stato concepito.
Emergenzialità che oggi non ha più ragione di esistere ma che si continua ad agitare ad ogni minimo segno di cambiamento cedendo ai forcaioli di questo paese che, con la complicità di certa stampa, spingono la società a chiedere l’inasprimento delle pene e la moltiplicazione delle condotte da sanzionare.
Attualmente sono circa 1600 i condannati all’ergastolo, tra cui 1174 ostativi, molti dei quali detenuti da oltre 25-30 anni (alcuni dei quali continuativamente in regime di 41), sopravvissuti alla tortura del 41 bis ed alle pene disumane e vendicative inflittegli, che stanno pagando il prezzo penale ma anche quello politico della necessità storica dell’emergenza criminale e del pentitismo.
Uomini oggi, diversi, profondamente cambiati che ieri erano quasi tutti poco più che ragazzini vissuti ai margini in un Sud che ai più lasciava e lascia, ancora oggi, poche alternative tra l’essere risucchiati nella fabbrica criminale, la fame/l’emigrazione o il clientelismo. Eppure, nonostante questi uomini oggi non abbiano più legami con le consorterie criminali di appartenenza oppure queste non esistano più,nonostante la chiusura col proprio passato e l’altissimo prezzo pagato con diversi decenni di carcere non potranno mai dimostrare alla società questo cambiamento, sono condannati a morire in carcere, una pena di morte in vita, per tutta la vita, fino alla morte.
Si ha motivo di pensare che tali persone risultino essere come inghiottite – ancora prima che dal sistema penale e dai concernenti e specifici procedimenti – da modelli di vero e proprio etichettamento, capace di costruire e imporre sulle loro esistenze marchi definitori identificanti una categoria antropologica a perdere, poiché considerata strutturalmente e inesorabilmente deviata e deviante. Si tratta, a un’attenta osservazione, di un processo che si espone alle ambivalenti e persistenti sollecitazioni di certe condizioni politico – istituzionali. In questa direzione di senso, il rafforzamento delle ragioni della pena dell’ergastolo appare come lo strumentale tentativo di catalizzare forme di solidarietà interne al Paese, intercettando – e alimentando – il collettivo sociale quasi esclusivamente nell’enfasi circostanziale dei suoi umori. Sembra evidente che in questo modo si mortifica – fino a sopprimere – la possibilità che i soggetti interessati possano affacciarsi criticamente sul proprio passato, riuscendo a ricostruirlo e a dotarlo di senso non solo per il presente, ma anche per il futuro. Al contempo si tende a infragilire i principi sottintesi alla realtà carceraria, che dovrebbero essere volti non solo a proteggere la comunità, ma anche la promozione dell’individuo, da collocare a centro dell’attivazione di dignitosi e riabilitativi percorsi.
Con l’approvazione della legge delega sono passati alcuni assunti che sembravano andare nella direzione indicata dai tavoli degli Stati generali e dalle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo se non fosse per alcune eccezioni che, di fatto, lasciano immutati alcuni dispositivi tra i quali appunto l’ ostatività per i condannati all’ergastolo per i quali l’unico spiraglio resta la collaborazione con la giustizia o, di contro, la possibilità di dimostrare l’inesigibilità della collaborazione ma anche quest’ultima è stritolata tra le relazioni di polizia risalenti all’epoca dell’arresto, il potere discrezionale dei magistrati e la volontà politica del momento.
Probabilmente mai come in quest’ultima legislatura si è dibattuto di ergastolo ostativo, mentre fino a qualche anno fa si parlava solo di ergastolo e di abolizione dello stesso -l’ultima proposta di riforma abolizionista del carcere a vita risale a quella elaborata dalla commissione Pisapia- , ampie convergenze per il superamento dell’ergastolo ostativo sono state espresse al punto che si dava già per scontato: dal ministro Orlando al capo del Dap Santi Consolo e con la benedizione del Papa (che, lo ricordiamo, tra i primi atti del suo mandato ha abolito la condanna a vita nello Stato Vaticano e fu l’unico ad inviare un messaggio di solidarietà allo sciopero solitario ed indipendente degli ergastolani lo scorso anno, partito dal carcere di Siano, durato oltre un mese, e diffuso in decine di carceri lungo tutto lo stivale dalla nostra associazione con la partecipazione attiva di circa 6000 detenuti ed al quale aderirono, con raccolta firme, oltre 35.0000 persone tra familiari,intellettuali, associazioni, camere penali e singoli esponenti politici ma nessun partito aldilà del PRC) erano tutti favorevoli all’abolizione dell’ostativo perché effettivamente è una pena disumana e disumanizzante, fuori da qualsiasi logica rieducativa. È solo vendetta e tortura.
Invece di accelerare l’iter per l’attuazione delle deleghe, Orlando ha pensato bene di istituire una ulteriore commissione per elaborare la riforma affidandone la presidenza a Glauco Giostra (il quale, lo ricordiamo, aveva già presieduto gli stati generali e raccolto in un testo la riforma possibile con contributi di vari giuristi, magistrati, ecc).
Il rischio concreto, visto anche l’attuale quadro politico, è che questa riforma non vedrà mai la luce perché dopo che verrà elaborata dovrà passare al vaglio della commissione giustizia e intanto arriveranno le elezioni e dei detenuti, che non votano, della mancata riforma (che non fa il gioco del governo della paura anzi, in questa fase il garantismo fa perdere voti) e dei suicidi non importerà più a nessuno eccetto ai detenuti ostativi, ai familiari e a coloro i quali hanno abbracciato la lotta per l’abolizione dell’ergastolo per motivazioni etiche ed ideali genuine e non per secondi fini.
L’auspicata e promessa revisione del 4bis dovrebbe essere destinata soprattutto agli ergastolani per restituirgli almeno la possibilità di sperare nel futuro e di poter dimostrare il proprio cambiamento nella società. Ma invece viene posta l’eccezione, c’è quell’”escluso gli ergastolani” che discrimina chi è già discriminato violando Costituzione e direttive europee .
Il nostro appello va al Ministro e alla commissione affinché non siano i sentimenti di vendetta a, la pancia mediatica dell’Italia, l’avvicinarsi delle elezioni o la paura dell’impopolarità a decidere e vincere sul Diritto.
Associazione Yairaiha Onlus
Share this: