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Roma 16 febbraio 1999: Nati sotto il segno dell’ariete

Roma 16 febbraio 1999

Roma, 16 febbraio 1999: azione di risposta alla cattura del leader curdo Abdullah Ocalan. Nei giorni seguenti ci furono 60 perquisizioni e 6 arresti.

Video: Nati sotto il segno dell’ariete

Un breve estratto del libro “Non dimenticare la rabbia” di Marco Capoccetti Boccia che narra la giornata in piazza di quel 16 febbraio 1999.

…Siamo mimetizzati bene. Nessuna vistosa tuta bianca, solo bandiere del Kurdistan e rosse appese agli stalin, caschi integrali a ripararci bene la testa, gommapiuma e proteggi-gomito solo per i più attrezz ati.

Un po’ di scudi di plexiglas giganti, per la prima fila che dovrà impattare e per quelle laterali che dovranno proteggere il gruppo d’attacco.

Sassi, batterie e bulloni nelle tasche, qualche fionda per i lanciatori più esperti. Niente di eclatante a vederci da fuori… i soliti autonomi che vanno a un corteo un po’ teso, si potrebbe commentare.

Il primo gruppo avanza diretto, grida alla polizia di togliersi dalle palle.

“Via, via, via!” urlano i compagni della prima fila.

“Toglietevi di mezzo! Levatevi!”

Sembra quasi una richiesta implorante più che un ordine rabbioso.

Ma gli sbirri non si spostano. Che testardi che sono… vengono travolti dalla carica violentissima della prima linea. Gli scaricano addosso bastonate su bastonate, finalmente.

Li carichiamo anche noi, seconda linea, subito dopo. Travolgendoli.

Molti poliziotti fuggono subito, altri restano e provano a manganellarci.

Ma non sono preparati né organizzati, né disposti in file, con gli scudi come al solito. Li abbiamo presi davvero di sorpresa e per una volta lo scontro è più agevole per noi.

Giù bastonate in velocissimi corpo a corpo, esplodono bomboni tenuti appositamente da parte dall’ultimo capodanno.

Si dileguano subito.

Ci siamo detti e ridetti che non dobbiamo colpire i poliziotti.

Niente accanimenti, di nessun tipo. Non servirebbe a nulla, se non a farli incattivire ancora di più. Basta che si tolgano di mezzo e ci lascino fare la nostra azione diretta. Tutto qui.

Se possibile dobbiamo proprio evitare di colpirli.

Se possibile.

Vallo a spiegare alle guardie.

Me ne trovo uno davanti che grande e grosso, da solo, continua a colpire i compagni, che un po’ lo schivano e un po’ lo aggirano. Lui rimane fermo, quasi immobile. Sembra un gigante dei cartoni animati, ignorato e superato dai più.

Gli do una stalinata che quasi lo atterra e tiro dritto.

Così impara, il coglione.

Un poliziotto alle nostre spalle, dal lato della piazza distante da tutti noi, estrae la pistola e ce la punta contro, ad altezza uomo: lo vediamo tutti, e tutta la piazza, esterrefatta da quello che sta accadendo, grida. L’immagine dello sbirro con il cannone spianato finirà sulle prime pagine dei giornali.

Spara qualche colpo in aria. Forse anche ad altezza uomo. Qualcuno di noi lo grida, con rabbia e paura. Per fortuna nessuno viene colpito. Non ci capisco più un cazzo, c’è troppo rumore di grida e di botti vari: lacrimogeni, bombe carta, bottiglie di vetro che si infrangono a terra a decine. Lo sbirro o gli sbirri che sparano manco riesco a vederli bene ma so bene che il vizio di sparare non lo perdono mai, questi stronzi, e quindi meglio stare attenti.

Noi non scappiamo stavolta e continuiamo l’azione, determinati e furiosi più che mai, non riprendiamo nemmeno fiato. Saliamo veloci le scale della galleria verso la meta finale.

Io e il mio gruppo ci posizioniamo verso il lato sinistro della barricata, dal lato della galleria che si affaccia su via Nazionale. Lanciano qualche lacrimogeno verso di noi senza colpirci, solo affumicandoci un po’. Non importa, non arretriamo. Ci proteggiamo con gli scudi giganti di plexiglas. Dobbiamo difendere il gruppo principale dell’attacco da un’eventuale carica. Siamo bardati come sempre: casco da motociclista, passamontagna o sottocasco, guanti da neve, stalin. E bottiglie di vetro, sassi, biglie e pile che lanciamo con la fionda verso un drappello scomposto e spaurito di sbirri di fronte a noi. Non avanzano: l’effetto sorpresa ha vinto su tutti i lati. Noi lanciamo a ripetizione con un occhio ben aperto alle nostre spalle. L’azione vera e propria è quasi iniziata…

L’ariete colpisce duro. La serranda della Turkish Airlines viene giù.

Un bombone viene fatto esplodere dentro la sede della compagnia aerea turca. Il botto rimbomba paurosamente in tutta la piazza. Esplodiamo di gioia anche noi! Iniziamo a gridare “Kurdistan libero” a squarciagola, e per un attimo mi sembra che tutta la piazza ci venga dietro, in migliaia gridano insieme a noi…

I danni materiali sono pochi, certo. Ma non è questo il punto, non vogliamo mica distruggere la sede, la cosa non ci interessa affatto.

L’importante è l’effetto simbolico: colpire con l’azione diretta autorganizzata un simbolo del potere stragista turco, e farlo in pieno giorno, davanti a manifestanti e telecamere, turisti e passanti. Per dimostrare che è ancora possibile manifestare solidarietà evitando di rendersi ridicoli con le solite parruccate associazionistiche, persino in questa rifardita e non più ribelle città.

Anche chi prima non era d’accordo adesso si unisce a noi, lanciando sassi contro la polizia e i carabinieri. Si fa gruppo adesso, siamo tanti, tanti, altre centinaia di compagni prendono parte attiva agli scontri.”