28 settembre 1978: Ivo Zini di 24 anni, e altri due compagni Vincenzo De Blasio, di ventotto, e Luciano Ludovisi, di trenta, arrivano davanti storica sezione romana del PCI dell’Alberone in via Appia Nuova 361, e si fermano per leggere il giornale affisso al muro.
È proprio in questo momento che a bordo di una vespa bianca, con il volto coperto, arrivano due fascisti armi in pugno e aprono il fuoco sui compagni. Ivo colpito al petto si accascia a terra, mentre Vincenzo è ferito al polso e alla gamba, Luciano rimane illeso. Ivo muore poco dopo l’arrivo in ospedale.
Alle 23 i NAR rivendicano l’omicidio in una lettera al Messaggero. Come confermeranno in parte il processo e i testimoni presenti davanti alla sezione, quasi sicuramente i colpevoli sono Alessandro Alibrandi e Mario Corsi, entrambi noti fascisti della capitale.
La sede del PCI e quella antistante del comitato autonomo sono il centro di ritrovo di quasi tutti i giovani proletari del quartiere, e appunto per questo spesso erano state oggetto di attentati squadristi.
Dopo questa brutale esecuzione tutto il quartiere e i compagni di Ivo scendono nelle piazze e nelle strade di Roma per ricordarlo e chiedere giustizia in un grande e partecipato corteo con striscioni che chiedevano sia giustizia per Ivo e tutti i compagni uccisi dai fascisti, sia di processare gli assassini.
L’esito del processo contro la cellula dei NAR, in particolare contro Mario Corsi, è lungo e dopo un periodo di latitanza a Londra di quest’ultimo, si risolve con una assoluzione.
A quaranta anni di distanza, nonostante diversi testimoni sostengano di aver riconosciuto i fascisti che spararono quel giorno, nessuna giustizia è arrivata per Ivo Zini.
Quella del 28 settembre ’78, è un’altra pagina del terrorismo nero italiano che arriva dopo la morte di Walter Rossi, e Fausto e Iaio, in una strategia terroristica che i NAR di Fioravanti misero in pratica in quegli anni.
L’atteggiamento del PCI, sempre teso al compromesso con la Democrazia Cristiana, non fece che favorire l’impunità dei fascisti nelle aule di tribunale ed era teso a far si che la rabbia e l’antifascismo militante della sua base si confinassero solamente, salvo pochi casi pur significativi, ad accorati appelli giustizialisti per l’unità democratica.