Roma: razzismo e malasanità uccidono un ragazzo bengalese.
- gennaio 02, 2009
- in antifascismo, migranti
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Lucky aveva trent’anni quando è morto, il 9 dicembre, aspettando di essere curato al pronto soccorso di un grande ospedale romano. Lucky stava andando a lavorare ma qualcuno lo ha pestato. Al Pertini lo hanno classificato codice verde. Il verde è il colore della non gravità. Ma Lucky è morto dopo nove ore di attesa. Era solo. Per questo le circostanze filtrano a poco a poco: sarebbe stato trovato a terra vicino una delle stazioni della metropolitana sulla Tiburtina, periferia est. Aspettava un autobus per andare al lavoro. Era traslocatore, faceva sempre il turno di notte con un padroncino che opera per conto di una grossa multinazionale degli spedizionieri.Il giorno appresso poche righe che annegano nel mare di notizie di qualche quotidiano capitolino. Lucky era bangladese. L’autopsia conferma: è stato un trauma cranico ad ammazzarlo. Ma Lucky è morto due volte, accusano gli amici: «Per il pestaggio subito e per la mancata assistenza dovuta al clima nazionale di discriminazione verso noi immigrati». Gli ingredienti di questa storia potrebbero essere razzismo e malasanità, veleni che anche senza combinarsi tra loro risultano spesso mortali. E’ una storia che sembra tipica della Roma di Alemanno dove il paesaggio urbano è rimodellato soprattutto dalla disgregazione del tessuto sociale e dal sabotaggio dei servizi pubblici. «Ci preme informarvi dell’ennesimo episodio di discriminazione e razzismo che va a ingrossare la triste agenda dell’anno appena concluso», scrive l’associazione Dhuumcatu di Roma annunciando che aprirà il 2009, alle 14.30 di oggi in piazza del’Esquilino, con la salma di Lucky, per un ultimo saluto e un nuovo grido che rompa il silenzio intollerabile. I bangladesi di Roma stanno raccogliendo soldi per l’ultimo viaggio di Lucky. Tornare morti in patria costa quasi 5mila euro. La metà di quanto costi arrivare clandestinamente.«Non abbiamo dimenticato la morte di Mary Begum e di suo figlio Hasib (morti nel rogo di un appartamento, la questura di Roma fece aggredire un piccolissimo sit-in che denunciava il mercato nero degli alloggi, ndr), il pestaggio di Varese, la tragica fine di Abdul a Milano, l’omicidio di Abdul Manan a Torpignattara, la strage di Castel Volturno, il pestaggio di Emmanuel a Parma compiuto da un gruppo di vigili urbani, i due braccianti gambizzati a Rosarno, le aggressioni di Tor Bella Monaca, i fatti del Pigneto,Torpignattara e Trullo, le continue violenze verso i venditori ambulanti a Fontana di Trevi a Roma…». Quest’ultima è la storia di Enanul Hoque, 28 anni, bangladese pure lui. Per sopravvivere vende souvenir alla Fontana di Trevi, tra i turisti. Tiene la sua mercanzia in braccio per non occupare suolo pubblico. Il 5 novembre viene fermato e calpestato dai «nuovi sceriffi», così li definisce Dhuumcatu (nel subcontinente indiano vuol dire stella cometa), che gli spezzano un gamba. Il giorno dopo, al S.Giovanni, lo raggiunge la notifica di una multa. «Se denunci ti mando direttamente in Bangladesh», è la minaccia di un vigile urbano. Uno dei nuovi sceriffi, fedele al programma del nuovo comandante generale della municipale che, insediandosi più o meno un anno fa ebbe a declamare: «Questi immigrati bisogna rimandarli via nel loro paese». Enanul non sapeva che in ospedale gli avrebbero preso le impronte digitali, il 12 dicembre era tra i metalmeccanici in sciopero della fame. E’ ancora convalescente.Tre giorni prima, invece, moriva con una straziante agonia di 9 ore, Lucky. Con l’italiano che ha potuto, aveva detto di essere stato aggredito da un gruppo di italiani che lo avrebbe bloccato con la scusa di una sigaretta. Uno degli scarni dispacci pubblicati aggiunge che Lucky aveva bevuto. Ma l’autopsia gli troverà solo sangue nello stomaco e il cranio spaccato. Troppo spesso episodi di razzismo vengono banalizzati, spacciati come liti. A ritroso con la memoria non ci vuole molto per imbattersi nell’omicidio di Renato Biagetti trattato dalla stampa come un caso di rissa tra balordi. Ma Lucky stava andando a lavorare. La sua è una morte per causa di servizio. «Perché il suo datore di lavoro (a cui è stato anche chiesto invano un contributo per il funerale) non vuole riconoscere il decesso? Chi sono gli aggressori? Per quale motivo al Pertini è stato classificato codice verde? Perché i media hanno taciuto?». Domande che gli amici di Lucky torneranno a formulare oggi. Intanto, sul sito di Dhuumcatu si può leggere da giorni: «L’anima di Lucky vi augura buon natale e chiede giustizia».
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