Sei un albanese? La tua vita vale meno. Sentenza choc a Torino. Il magistrato riduce il risarcimento per i familiari
Secondo una sentenza pronunciata lo scorso 20 luglio dalla IV sezione del tribunale civile di Torino l’uguaglianza di fronte alla legge va sottoposta a discrimine. Essa va sottomessa al vaglio del contesto economico e sociale. Si tratta della stessa filosofia contenuta nel concetto di “gabbie salariali”: anche se l’unità di tempo lavorativa è la stessa e la qualità e intensità di lavoro fornita la medesima, la retribuzione varia a seconda delle zone. Ad essere retribuita così non è la quantità di lavoro fornita nella medesima unità di tempo, ma l’idea di costo della vita che si ritiene possa esistere in un determinato territorio. Sappiamo tutti, perché l’esperienza quotidiana ce lo prova ogni giorno, che il principio di uguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 3 della nostra costituzione ispirato dalla dottrina universalistica dei diritti umani, è spesso privo di efficacia. D’altronde il testo costituzionale parla di uguaglianza di fronte alla legge. Già di fronte al mercato le cose cambiano drasticamente. E questa sentenza lo dimostra. L’asimmetria degli attori che si confrontano rende evidente la presenza di soggetti deboli, demuniti di forza, capacità contrattuale e persuasiva, contrapposti a soggetti, al contrario, fortissimi. Il differente peso degli attori si spiega con la disparità di capitale che ciascuno porta con sé. Capitale economico, ma non solo. Anche il capitale culturale, sociale e simbolico finiscono sul piatto della bilancia determinando le traiettorie esistenziali dei singoli e dei gruppi sociali. Va detto che la costituzione italiana mostra di esserne assolutamente consapevole, tant’è che nel secondo comma dell’articolo 3 prescrive la rimozione degli impedimenti di natura sostanziale che non consentono la piena realizzazione dell’uguaglianza formale, attribuendo alla Repubblica il «compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» che impediscono pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Si tratta di una di quelle norme definite “programmatiche” o “predittive”, cioè senza immediato contenuto applicativo, che prefiguravano un mutamento degli equilibri socio-politici del Paese, risultato dell’influenza dei giuristi social-comunisti che parteciparono all’elaborazione del testo costituzionale. Questa costituzione virtuale non ha visto la luce. Salvo rari momenti in cui i cicli di lotta sociale hanno consentito degli avanzamenti sul piano dei diritti e delle conquiste effettive. La costituzione materiale ha sempre frenato l’evoluzione legislativa nel senso programmatico indicato dalla costituzione. La sentenza di Torino, di cui si è avuta notizia ieri, indigna ma in fondo non sorprende. Dice le cose come stanno oggi. Cioè molto male. I fatti riguardano la morte sul lavoro di un operaio albanese, dipendente di una ditta subappaltatrice della Dalmine, precipitato da un ponteggio alto 30 metri e sprovvisto delle misure di sicurezza antinfortunistiche. Secondo il giudice il risarcimento riconosciuto agli eredi non può essere attribuito sulla base di «un uguale valore monetario che sia indipendente dal contesto economico in cui vive il singolo danneggiato». In parole semplici, la vita di un albanese vale meno di quella di un Italiano perché in Albania il costo della vita è più basso. Pertanto elargire lo stesso risarcimento «creerebbe un ingiustificato arricchimento a coloro che vivono in Stati ad economia depressa e costo della vita inferiore». C’è da dubitare che di fronte ad un cittadino Statunitense o del Dubai il giudice avrebbe applicato il ragionamento inverso aumentando i compensi. Il giudice si è riferito ad una sentenza della Cassazione del 2000, presentata dalla Fondiaria-Sai, ente assicurativo chiamato al risarcimento.Tuttavia la giurisprudenza successiva afferma che «la tutela dei diritti dei lavoratori va assicurata senza disparità di trattamento tra persone con cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria». Anche il codice civile non prevede un risarcimento del danno formulato in base alla provenienza etnica, raziale, nazionale, o al credo religioso e politico della persona che ne ha fatto richiesta. La sentenza di Torino fornisce una lettura della legge assolutamente asservita agli interessi delle assicurazioni e dei soggetti imprenditoriali. La costituzione materiale vince su quelle legale.
Paolo Persichetti da Liberazione
Share this: