Menu

Si scrive scudo penale, ma si legge immunità

La fine dello Stato di diritto, agenti al di sopra della legge

di Fabio Anselmo avvocato da Il Domani

Scudo penale agli agenti che possa difenderli dalle indagini anche per omicidio? La propaganda non ha più limiti, se mai ne avesse davvero avuti negli ultimi decenni. Il processo penale è oramai quotidiano terreno di scontro politico e, quel che è peggio, di sconclusionati provvedimenti legislativi che intervengono su giudici, pm e cittadini di singole vicende giudiziarie.

È la promozione a sistema delle leggi cosiddette ad personam, ispirate da questo o quel fatto di cronaca nera che può essere utile alla propaganda politica o da questo o quel procedimento giudiziario che, sempre rigorosamente sullo stesso piano, può viceversa essere imbarazzante o, peggio, nocivo, danneggiando l’immagine patinata e “rassicurante” a tutti costi inseguita dal governo.

“Scudo penale” cosa significa?

Letteralmente lo scudo è uno strumento di difesa. “Da chi?”, viene spontaneo chiedersi. La risposta è altrettanto ovvia: dallo Stato di cui fa parte, come potere funzionale giudiziario, il pm. Quindi si ritiene non solo logico, ma addirittura necessario, che gli organi di polizia del nostro Paese, nel cui nome e per il quale operano, si debbano, a prescindere, difendere da quello stesso Stato, che sarebbe, pertanto, loro ingiustamente nemico. Si tratta di una vera e propria legge-caos che trasformerà il nostro paese in un vero e proprio Far West ove vige sempre e incontrastabile la legge del più forte.

In uno Stato democratico le forze dell’ordine hanno il monopolio dell’uso della forza.

Sempre in quello Stato democratico esse ne devono avere la responsabilità. Mi pare ovvio. A meno che non si decida che il loro agire deve essere sempre ritenuto legittimo, a prescindere. A meno che non si voglia una vera e propria immunità per la quale si dovrebbe presumere in modo assoluto la giustezza del loro operato, qualsiasi cosa accada o sia accaduta. Un vero e proprio status sociale di privilegio sui cittadini per i quali le forze dell’ordine dovrebbero operare, che le posiziona al di sopra della legge che esse stesse dovrebbero esser chiamate ad applicare. Un sistema di assetti di potere nel quale i magistrati che esercitano la funzione giudiziaria sono soggetti alla legge mentre gli agenti no.

Il caos, appunto. La fine dello Stato democratico. La responsabilità degli agenti, cosi come delineata dalla Costituzione e applicata dalla magistratura, non piace a questo governo. Deve esser compressa e limitata il più possibile. L’esigenza apertamente dichiarata, come si legge sulle agenzie di stampa, è quella di “difendere gli agenti” dalle indagini che la magistratura inquirente ritiene di dover avviare in caso di sospetti abusi che potrebbero esser stati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, anche nelle ipotesi di omicidio. Non devono essere indagati quando i fatti sono da chiarire, no. Per loro l’iscrizione come atto dovuto deve sparire.

Ci deve pensare il ministro dell’Interno a stabilire quando si può fare l’iscrizione, secondo proprio giudizio. E poi, qualora il ministro lo consenta, la “patata bollente” deve passare di mano ai magistrati ritenuti più “accomodanti”: niente pm, ma le corti d’appello. Chi parla in questo modo, da quel che leggo, non conosce lo stato di diritto. Il ministro dell’Interno sarebbe chiamato a svolgere una funzione giudiziaria, sia pure in tema di accertamento della sufficienza di elementi per iscrivere l’agente “sospettato” di abusi nel registro degli indagati. È organo politico dell’esecutivo ma non fa nulla.

La separazione dei poteri e delle funzioni e l’indipendenza di quelli giudiziari sono un inutile orpello della nostra invadente Costituzione. Ci penseranno i nuovi prossimi giudici che a breve verranno nominati a risolvere il problema.

Sulla morte di Ramy Elgaml il ministro dell’Interno “in pectore” Salvini si è già espresso anticipando tutti: ha proclamato la assoluta correttezza dell’operato dei carabinieri coinvolti nella vicenda, quindi male farebbe a procedere con indagati già iscritti la procura di Milano, qualora fosse già operativo “lo scudo”. La grande dignità e profonda civiltà espresse dal padre di quel povero ragazzo hanno messo in difficoltà il sottosegretario Delmastro, che è stato costretto ad affermare pubblicamente che deve essere compito della magistratura fare chiarezza sui fatti, smentendo il suo collega di governo Salvini.

Ci siamo già da tempo abituati a sentire i politici parlare a vanvera in tema di Giustizia.

Difficile sarà abituarsi a sentirli esprimersi allo stesso modo nella primissima fase delle indagini preliminari in fatti simili a quello che ha visto morire oggi Ramy, Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi ieri.

Per quanto riguarda Stefano, in realtà, ci fu chi nell’immediatezza della morte si espresse in modo netto e perentorio sulla vicenda: l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa giurò sulla correttezza dell’operato dei carabinieri che arrestarono Stefano Cucchi.

Seguirono 6 anni di indagini e processi sbagliati contro gli agenti della Penitenziaria. Poi sappiamo come è andata. Al di là di queste amare considerazioni, quel di cui non ci si rende conto (o si fa finta) è che l’iscrizione dell’agente sospettato nel registro degli indagati è un atto di garanzia di difesa e non di accusa! Dunque, qual è il reale scopo dello Scudo? Immunità. Fine del fondamentale criterio giuridico espresso dal concetto di responsabilità. La legge non è uguale per tutti.

Questo è certo.

 

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp