Sia in mare che nelle aule di tribunale, l’Italia non è in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo
«Nel più grande procedimento penale contro soccorritori civili in mare, da cinque anni non solo non ci sono prove sufficienti per giustificare il sequestro di una nave da soccorso ma nemmeno i presupposti per un accusa che comporta pene detentive fino a 20 anni. Questo procedimento non garantisce inoltre i principi fondamentali per un giusto processo». E’ quanto sottolinea nuovamente Iuventa crew, che proprio sabato 12 novembre, si è vista negare la possibilità di avere una traduzione adeguata.
Il 2 agosto 2017 avviene il sequestro della nave SAR iuventa segnando l’inizio della guerra tra governo italiano e ONG impegnate in missioni di soccorso nel Mediterraneo Centrale. Dal 2 agosto 2017 ad oggi circa 9000 persone hanno perso la vita cercando di raggiungere le coste italiane, confermando il Mediterraneo come la frontiera più mortale del mondo. Cambiano i governi, i colori dei governanti, ma il paradigma per affrontare il fenomeno migratorio in Europa rimane sempre lo stesso: repressione, criminalizzazione e morte.
Dopo anni di indagini lo scorso 21 maggio è iniziata la prima udienza preliminare del più grande processo di sempre contro la solidarietà in mare. Tra gli imputati 21 soccorritori di tre diverse ONG: Save the Children, Medici senza Frontiere e quattro membri dell’equipaggio della iuventa. In assenza di prove concrete, e mettendo alla sbarra soccorritori che di male hanno fatto solamente di salvare naufraghi dalla morte certa in mare, pare chiaro a tutti che il disegno repressivo rimane quello di trovare una scusa per sequestrare le navi di soccorso, intimorire gli equipaggi con accuse pesantissime, rallentare in ogni modo la fase processuale per prolungare un eventuale rientro delle imbarcazioni in zona SAR.
Dopo lo scorso 21 maggio, si sono continuati a verificare vari errori procedurali che hanno portato a ripetuti rinvii delle udienze preliminari nonché dell’interrogatorio volontario di uno degli imputati data la mancanza di un interprete adeguato e di una traduzione in lingua madre di circa il 97% degli atti dell’accusa, una cosa assurda per un caso in cui gli imputati rischiano fino a 20 anni di carcere. La mancanza di interpreti e traduttori nelle aule di giustizia è una violazione strutturale che si verifica nella maggioranza dei processi che vedono coinvolte persone di lingua straniera, che molto spesso non hanno a disposizione le risorse dei membri dell’equipaggio della iuventa e vivono situazioni di marginalità e ostracismo sociale. A questo proposito due settimane fa è stata lanciata da iuventa-crew la campagna europea #NoTranslationNoJustice, per denunciare quello che è un grave problema strutturale nei paesi dell’UE.
Dopo 5 anni di indagini e una situazione che in prospettiva lascia ben poco a sperare rispetto alla durata della fase processuale, Dariush Beigui, ex capitano di iuventa, ha deciso di rilasciare una dichiarazione volontaria per accelerare i tempi della giustizia, su cui ha commentato: “Stiamo correndo il rischio di un interrogatorio volontario che potrebbe essere usato contro di noi per poter finalmente andare avanti nel caso. Riteniamo che il soccorso in mare e la fuga non siano reati e pertanto non abbiamo nulla da nascondere”.
Lo scorso 29 ottobre però all’interrogatorio di quello che ricordiamo essere il più grande processo contro le ONG impegnate in missioni SAR, la questura di Trapani non ha saputo fornire di meglio che una guida turistica come interprete, in una situazione che rasenta l’assurdo dove le stesse forze dell’ordine hanno dovuto interrompere l’interrogatorio per impossibilità a continuare.
In un secondo tentativo, oggi, due settimane dopo, Dariush Beigui si è recato di nuovo da Amburgo a Trapani per svolgere l’interrogatorio. Questa volta come interprete è stato fornito un ex poliziotto in pensione, di nuovo palesemente incompetente nel ruolo di traduttore. Dariush ha rilasciato la seguente dichiarazione al riguardo: “È ridicolo! La stessa procura che si è coordinata con successo con cinque diverse agenzie di polizia, comprese le unità antimafia e i servizi di intelligence, per fermare una nave di soccorso che sarebbe necessario impiegare nel soccorso, ha ripetutamente fallito nel garantire il diritto fondamentale a un processo equo. Mi sembra che non vogliano nemmeno sapere cosa ho da dire. La procura è interessata a chiarire i fatti?”.
Se in Italia gli interpreti e i traduttori impegnati nei procedimenti penali guadagnano solo il 10% rispetto alla media europea, non c’è da stupirsi della grande carenza di queste figure professionali. L’Italia, insieme a Bulgaria e Romania, ha il budget più basso d’Europa per i servizi linguistici giudiziari. La stessa direttiva europea non specifica a sufficienza i suoi requisiti, dando consapevolmente agli Stati la possibilità di non agire nell’interesse degli indagati e imputati e di un processo equo.
A questo proposito Nicola Canestrini, il legale di iuventa crew ha dichiarato: “L’assistenza linguistica deve essere tale da consentire all’imputato di essere a conoscenza delle accuse contro di lui e di difendersi, in particolare permettendogli di presentare la sua versione dei fatti in tribunale: questo diritto fondamentale, garantito dal 1950 dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è stato ripetutamente negato dall’accusa”.
Continua Kathrin Schmidt “Abbiamo il privilegio di condividere le lingue con gli avvocati. Ma è molto importante sottolineare che ci sono migliaia di persone accusate di reati simili. Le persone in fuga sono criminalizzate in Italia, Grecia e Malta. Quando vengono arrestati e detenuti, spesso non hanno un interprete, una difesa e i mezzi per contattare le loro famiglie.”
Il recente intensificarsi della repressione da parte dell’Italia nei confronti delle ONG che mostrano solidarietà verso le persone in movimento, fa parte di una lunga e ingloriosa storia di criminalizzazione nei Paesi dell’UE. Sebbene le indagini contro le organizzazioni civili di soccorso siano sempre oggetto di grande attenzione da parte dei media, nessuno dei procedimenti si è finora concluso con una condanna.
“Qual è il valore dei blocchi, dei sequestri e delle incriminazioni? Sembra risiedere più nello sfruttamento politico delle falsità e della creazione di un clima d’odio che nella ricerca della giustizia. Prendere di mira le ONG serve a giustificare le vergognose decisioni politiche di oggi e a scatenare nuovamente un attacco che criminalizza le persone in movimento e quelle in solidarietà con loro.” dice invece Sascha Girke, ex capo missione di iuventa.
Dopo che l’equipaggio della iuventa aveva denunciato queste circostanze inaccettabili, anche gli osservatori internazionali del processo ed EULITA, l’Associazione europea degli interpreti e traduttori legali, avevano condiviso questa valutazione. Nonostante tali critiche, anche il tentativo di oggi è fallito. Anche in questo caso non è stata fornita un’interpretazione adeguata.
iuventa Crew