Il 21 gennaio le FDS (Forze democratiche siriane) hanno respinto (almeno per il momento, non si possono escludere ulteriori sviluppi) quello che sotto ogni aspetto si configurava come un attacco congiunto tra la Turchia – sfacciatamente schierata – e le milizie jihadiste.
L’attacco turco era rivolto contro i villaggi di Mişêrfe, Cehbel e Mielek (Ain Issa, nel nord della Siria) mentre veniva bombardata l’autostrada M4. Stando a quanto dichiarato dalle FDS, nel corso dei combattimenti, proseguiti per tutto il giorno, sono rimasti uccisi alcuni miliziani jihadisti (cinque accertati). Almeno due civili invece hanno perso la vita a Cehbel sotto le bombe turche.
Quanto sta avvenendo nel nord della Siria, nonostante le documentate denunce di sistematiche e ripetute violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito invasore turco e dei suoi ascari, ultimamente non sembra scuotere più di tanto la coscienza internazionale. Forse pensando che i curdi ormai hanno svolto il ruolo loro assegnato, ossia di carne da cannone contro l’Isis. Di quello che sta combinando Erdogan, l’alleato Erdogan, all’Occidente in fondo non interessa più di tanto. E pazienza per i curdi!
Una posizione non esplicitamente dichiarata, ma vera nella sostanza.
Unica eccezione, in questi giorni, la rivolta e l’evasione di un centinaio di prigionieri appartenenti allo Stato islamico. Avvenuta nel centro di detenzione (una ex scuola) di Sina nel distretto di Xiwêran (Ghweiran) nella città di Hassaké dove erano rinchiusi in circa cinquemila tra sostenitori e miliziani dell’Isis. Si tratta di persone provenienti da una cinquantina di Paesi (che in genere non mostrano nessuna fretta nel volere riprenderseli) e tra loro vi sono parecchi elementi definiti “molto pericolosi”.
L’evasione si era potuta svolgere grazie all’attacco dall’esterno di un gruppo di appartenenti allo Stato islamico (una – o forse più di una – di quelle che vengono chiamate “cellule dormienti”).
Almeno una mezza dozzina di jihadisti sarebbero morti negli scontri con le forze di sicurezza dell’AANES (Amministrazione autonoma del Nord e dell’Est della Siria) che, ovviamente, erano intervenute per impedire l’evasione di massa e riprendere il controllo della struttura.
La contemporaneità tra l’attacco jihadista e la rivolta all’interno del carcere conferma che si trattava di una mossa pianificata e concordata.
Questa in breve la sequenza dei fatti. Gli attaccanti avevano inizialmente fatto esplodere alcuni barili di diesel all’interno di un immobile (appartenente a una società petrolifera) che sorge proprio di fronte al carcere. Quasi contemporaneamente altri jihadisti inviavano contro la porta del carcere un’auto e alcune motociclette riempite di esplosivo. A questo punto, presumibilmente, doveva partire l’assalto vero e proprio. Veniva tuttavia stroncato sul nascere dall’immediata reazione delle unità di Asayish (le forze della sicurezza interna dell’AANES).
Messi in difficoltà, almeno temporaneamente, gli assalitori e una parte degli evasi fuggivano in direzione del quartiere di Zihûr (Al-Zohour). Immediatamente circondato e isolato, così come la prigione, dai combattenti delle FDS.
Attraverso gli altoparlanti delle moschee, gli abitanti del quartiere venivano informati di quanto stava accadendo e invitati a tenere ben chiuse le loro porte.
Nelle stesse ore sia il quartiere interessato che l’intero distretto di Xiwêran venivano sorvolati dagli elicotteri della coalizione internazionale. Due jihadisti sarebbero stati abbattuti dai tiratori scelti delle YPG (Unità di Protezione del Popolo) e altri tre nel corso dei combattimenti.
Questi eventi sembrano aver ridestato le paure dell’Occidente per una possibile resurrezione di Daesh/Isis.
Invece quasi nessuno sembra voler prendere atto della sostanziale unità di azione e intenti, della sintonia, tra l’assalto al carcere, opera degli integralisti islamici e le ultime operazioni militari messe in campo da Ankara contro i curdi.
Infatti, proprio mentre le FDS dovevano confrontarsi con le milizie di Daesh, la Turchia ne approfittava per intensificare gli attacchi sul Rojava
Il 21 gennaio un drone turco colpiva alcuni esponenti del Consiglio militare di Til Temir sulla strada per Hassaké dove si stavano recando in sostegno alle FDS contro lo stato islamico. Nella mattinata del 22 gennaio – come già detto -truppe mercenarie filo-turche hanno attaccato la regione di Ain Issa (mentre l’autostrada M4 veniva fatta oggetto di tiri di artiglieria).
Le FDS, oltre a sottolineare come tale attacco coincidesse con quanto avveniva intorno al carcere di Hassaké, hanno dichiarato che altri cinque jihadisti erano rimasti uccisi nei combattimenti.
A tale riguardo il copresidente del dipartimento degli Esteri dell’AANES ha indicato nelle potenze internazionali (USA e Russia in primis) i primi responsabili di quanto era avvenuto.
Intervistato dall’ANF (Agenzia di stampa Firat News), Abdulkarim Omar ha precisato che questo “non è il primo episodio del genere e non sarà l’ultimo. Tali eventi sono la conseguenza dell’incapacità delle potenze internazionali di assumersi le proprie responsabilità. Noi abbiamo eliminato la presenza militare dello Stato islamico nella regione, ma non per questo il terrorismo è finito definitivamente. La nostra è stata una vittoria puramente militare, ma l’organizzazione jihadista è ancora potenzialmente attiva, così come non è scomparsa la loro ideologia. Alcune bande dello stato islamico non hanno mai smesso di portare i loro attacchi, non solamente contro le prigioni”.
Da segnalare un certo compiacimento – del tutto fuori luogo – espresso da qualche rosso-bruno filo-Assad che qualificava la battaglia tra FDS e Daesh come “uno scontro tra le due bande”. Equiparando il movimento di liberazione curdo agli ascari islamo-fascisti filoturchi.
Insisto: demenziale!
Gianni Sartori