Smaltiremo mai questa sbornia giustizialista?
- novembre 25, 2024
- in misure repressive, riflessioni
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Quattrocentodiciassette anni di carcere. A tanto ammonta il numero di anni di pena in più inseriti nel nostro ordinamento da quando si è insediato il governo Meloni.
di Marco Sommariva
Abbiamo esaminato, una per una, le norme approvate dalla maggioranza e il risultato fa impallidire: 417 anni di carcere in più, frutto dell’introduzione di 48 nuovi reati (una media di due al mese) e svariati inasprimenti di pena. Una cifra destinata ad aumentare, se si considera che non tiene conto dei provvedimenti non ancora approvati definitivamente dal Parlamento.”; quanto sopra, è un passaggio dell’articolo pubblicato il 21 ottobre scorso da Il Foglio, intitolato “417 anni di carcere. La sbornia giustizialista del governo Meloni”
Questo, invece, l’ho letto su L’Indipendente del 4 luglio scorso: “Gli USA negano la libertà a Leonard Peltier, l’indigeno in carcere da mezzo secolo.” Nell’articolo si spiega che è stata la Commissione per la libertà vigilata degli Stati Uniti a negare la libertà condizionale a Leonard. Peltier, membro dell’American Indian Movement (AIM), è detenuto in un penitenziario della Florida, un carcere di massima sicurezza dove sta scontando due ergastoli consecutivi per l’uccisione di due agenti dell’FBI, nella riserva indiana di Pine Ridge, nel 1975. Peltier – settantanove anni, in carcere da quasi cinquanta – ha sempre sostenuto la sua innocenza; scrive L’Indipendente: “La storia di Leonard Peltier è lunga e complicata. Attivista per i diritti civili dei nativi americani sin da giovane, nel 1975 Peltier si trovava nella riserva di Pine Ridge, dove i due agenti dell’FBI Coler e Williams dichiararono di stare inseguendo il nativo Jimmy Eagle, ricercato per furto con scasso. Gli agenti, probabilmente pensando di aver individuato il veicolo di Eagle, aprirono il fuoco contro il ranch senza identificarsi. Peltier e gli altri che si trovavano con lui, senza sapere chi stesse sparando e perché, risposero a loro volta al fuoco. Nel giro di pochi minuti, circa 150 agenti della squadra SWAT del FBI, del BIA e altre squadre armate circondarono il ranch. Nella sparatoria Coler e Williams persero la vita e Peltier fu accusato assieme ad altri nativi, i quali vennero tuttavia assolti. Lui, invece, venne scelto come capro espiatorio a cui fare scontare una pena esemplare. Il processo a suo carico, infatti, fu costellato di irregolarità, prove false (prodotte dallo stesso bureau) e minacce ai testimoni. Attivisti, politici, intellettuali e pensatori di tutto il mondo da anni chiedono la sua grazia. Fino ad oggi, tuttavia, l’appello è rimasto inascoltato.”
Prima di chiedermi se Leonard Peltier è colpevole o no, mi viene da domandarmi a cos’è servito in passato il sistema carcerario e a cosa serva tuttora, com’è stato gestito nei secoli scorsi e come ancora lo si gestisce, quali erano e sono gli obiettivi prefissati dall’imprigionare le persone e quali erano e sono i risultati raccolti da questa modalità; quanto sopra, anche per provare a capire se potrebbe davvero servire a qualcosa l’aver introdotto nuovi reati e inasprimenti di pena.
E per trovare una risposta a questi miei quesiti, scomoderò un po’ di scrittori rivolgendomi alla mia libreria di casa.
Intanto, pur avendo fatto del volontariato all’interno di un paio di carceri e conoscendo parecchie persone che hanno scontato una pena in cella, inizio col dire che mi occupo di un argomento che non conosco benissimo; per me vale quello che scriveva Joseph Conrad nel romanzo Il caso: “Da parte mia so così poco delle prigioni che non ho la minima idea di come le si lasci. Sembra un’operazione tanto abominevole quanto l’altra, il rinchiudere, che evoca uno sbattere di porte, uno sferragliare di chiavistelli, e il silenzio vuoto là fuori – dov’eri fino a un attimo prima: dov’eri e ora non sei più. Assolutamente infernale. E il rilascio! Non so cosa sia peggio. Come funziona? Sfili un cordino, la porta si spalanca, schizza fuori un uomo: Vattene! Adios! E nello spazio, dove un secondo prima non c’eri, nello spazio silenzioso, c’è una figura che si allontana zoppicando. Perché zoppicando? Non lo so. Me la immagino così la scena. Ci si fa l’idea di un sistema che storpia, mutila; di individui che ritornano sottilmente menomati.”
Fatta questa doverosa premessa, proseguo col dirvi che la penso come Italo Calvino che ne Il sentiero dei nidi di ragno scrive “[…] chi ruba poco va in galera e chi ruba tanto ha le ville e i palazzi.” e che son d’accordo anche con Paco Ignacio Taibo II che in Rivoluzionario di passaggio riporta che le “Le idee non possono metterle in galera.” Che, poi, non è molto diverso da ciò che scrive Paul Rougeau in Mi uccideranno in maggio: “Sebbene mi abbiano imprigionato il corpo, la mia mente è libera.”
E ora inizio con le domande che avevo promesso di porre ai miei libri.
Cos’è una prigione?
“Prigione, luogo in cui si arresta il tempo che altrove continua…” – La condizione umana, André Malraux.
Davvero è così? Forse è meglio che ripeta la domanda: cos’è una prigione?
“Ah! che infamia è una prigione! c’è qui dentro un veleno che sporca ogni cosa. Appassisce tutto […]. Se vi trovate un uccello, ha del fango sulle ali; se cogliete un bel fiore e l’odorate, puzza.” – L’ultimo giorno di un condannato a morte, Victor Hugo.
Almeno si sta comodi?
“Ora, quello che vi voglio far sapere è che questa cella era stata costruita per tre e invece noi ci stavamo dentro in sei, tutti stretti pigiati che non ci si rigirava. E in quei giorni tutte le prigioni erano in quelle condizioni, fratelli miei, ed era proprio una lezzosa vergogna che un disgraziato non avesse posto nemmeno per stirarsi.” – Arancia meccanica, Anthony Burgess.
Cos’è che si punisce con la prigione?
“Quasi tutti i desideri del povero sono puniti con la prigione.” – Viaggio al termine della notte, Louis-Ferdinand Céline.
Chi condanna è innocente?
“Per un delitto che si espia in prigione se ne commettono spensieratamente diecimila da parte di coloro che condannano.” – L’incubo ad aria condizionata, Henry Miller.
Chi condanna si mette mai una mano sulla coscienza?
“È incredibile come si finisca per abituarsi a tutto. Sembrava che non mi accorgessi di quanto la vita quotidiana fosse ormai imprevedibile e convulsa. Dopo un po’, perfino la rivoluzione aveva trovato un suo ritmo: la violenza, le esecuzioni, le confessioni pubbliche di crimini mai commessi, i giudici che parlavano con distacco di amputare le mani o le gambe ai ladri e di giustiziare tutti i prigionieri politici perché nelle prigioni non c’era più spazio.” – Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi.
Chi arresta è meglio dell’arrestato?
“[…] tra Costantinopoli e Berna ho conosciuto migliaia di poliziotti, buoni e cattivi. Molti di loro non erano meglio della misera canaglia di cui riempiamo ogni sorta di galere, poveracci che per caso si ritrovano sull’altro versante della legge.” – Il giudice e il suo boia, Friedrich Dürrenmatt.
Esattamente, i poliziotti quale genere di persone cercano di mandare in galera?
“Avete perduto i vostri sospetti. Tuttavia non penso che ve ne importi. Il commissario sarà soddisfatto. Avete qualcuno da mandare in galera. A voi poliziotti basta questo, no?” – Epitaffio per una spia, Eric Ambler
Non è che così facendo finiscono in galera soltanto i disgraziati?
“Pietromagno passa metà dell’anno in prigione, perché è nato disgraziato e quando c’è un furto nei dintorni finiscono sempre per mettere dentro lui.” – Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino.
Non è che le prigioni servono anche per rinchiudere chi si è “soltanto” opposto al Potere?
“[…] se i lavoratori si organizzano, è segno che c’è un organizzatore, un caporione, che li comanda, che discute coi padroni. Be’, se c’è, la prima volta che apre bocca per discutere, lo abbrancano e lo schiaffano in prigione. E se salta su un altro per sostituirlo, ebbene abbrancano anche quest’altro che fa la stessa fine.” – Furore, John Steinbeck
Quindi, potrebbe essere che il Potere arrivi a inventarsi qualcosa, tipo dei complotti, giusto per mandare in prigione chi dà fastidio?
“[…] nel regno di Tribnia, fra gli abitanti chiamati Langden, dove avevo dimorato qualche tempo durante i miei viaggi, la massa della popolazione consiste quasi esclusivamente di delatori, testimoni, informatori, accusatori, querelanti, venditori di prove, spergiuri, in branco con un numero vario di subalterni loro strumenti, tutti sotto la bandiera, la guida e gli stipendi dei ministri di Stato e dei loro rappresentanti. In quel regno le congiure son di solito un’invenzione di tal genia, avida di farsi la fama di profonda abilità politica, di ridar nuovo vigore a un’amministrazione rovinosa, di soffocare o sviare il malcontento generale, di empirsi le tasche a furia di confische, e di alzare o abbassare i titoli di Stato a seconda del proprio vantaggio. Anzitutto si accordano e stabiliscono fra loro quali persone sospette debbano essere accusate del complotto, poi fanno accuratamente sequestrare tutte le loro lettere e le loro carte e mettere in prigione gli accusati. Le carte vengono consegnate a un’accolta di periti abilissimi nel cavar fuori misteriosi significati da ogni parola, sillaba e lettera […].” – I viaggi di Gulliver, Jonathan Swift.
Può essere che un prigioniero faccia una brutta fine durante la sua detenzione?
“Il rapporto che ricevo nella mia veste di magistrato, è breve: Durante il corso dell’interrogatorio sono emerse contraddizioni evidenti nella testimonianza del prigioniero. Messo di fronte a quelle contraddizioni il prigioniero si è infuriato e ha aggredito il funzionario che lo interrogava. È seguita una colluttazione durante la quale il prigioniero è andato a sbattere violentemente contro il muro. Ogni sforzo per fargli riprendere conoscenza è stato vano.” – Aspettando i barbari, J. M. Coetzee.
Importa a qualcuno ciò che accade nelle prigioni?
“A Cuba la polizia può usare tutta la brutalità che vuole con gli emigranti dell’America latina e degli Stati baltici, ma non con residenti e turisti del suo paese [l’Inghilterra] o della Scandinavia. […] Inoltre, i cattolici sono più torturabili dei protestanti, così come sono più portati a delinquere. […] Una delle ragioni per cui l’Occidente detesta i grandi paesi comunisti è perché loro non riconoscono le distinzioni di classe. E allora capita che torturino le persone sbagliate. Come faceva Hitler, del resto, e infatti il mondo ha gridato allo scandalo. Quello che succede nelle nostre prigioni, o nelle prigioni di Lisbona o di Caracas, non importa a nessuno, ma Hitler era troppo indiscriminato.” – Il nostro agente all’Avana, Graham Greene.
Davvero proprio a nessuno frega qualcosa di chi sta dietro quelle sbarre di ferro?
“Era la prima volta che mi pizzicavano per qualche motivo, la prima volta che mi ritrovavo in galera e, cazzo, non mi piacque per niente. Fanno di tutto per toglierti la tua umanità e ti senti totalmente impotente dietro quelle sbarre di ferro, mentre la tua vita è nelle mani di qualcuno a cui non gliene frega un cazzo di te. Alcuni di quegli sbirri bianchi erano razzisti fino al midollo e ti avrebbero preso a calci come nulla fosse o ti avrebbero ucciso come si fa con una mosca o uno scarafaggio. In questo senso il tempo che passai in galera servì ad aprirmi gli occhi, fu una vera rivelazione.” – Miles. L’autobiografia, Miles Davis con Quincy Troupe
Non sarà che questo menefreghismo generalizzato possa portare conseguenze poco piacevoli?
“Un altro vagabondo raccontò la storia di Gilderoy, il bandito scozzese. Gilderoy era stato condannato all’impiccagione, ma evase dalla prigione, rapì il giudice che lo aveva condannato e (splendido!) lo impiccò.” – Senza un soldo a Parigi e a Londra, George Orwell.
Quindi ha ragione Ernest Hemingway quando, in Per chi suona la campana, scrive “La prigione non è niente. La prigione crea solo l’odio.”
E com’è la vita in prigione? Per esempio, anche lì si sente, si vive la primavera?
“Quante volte mi sono fermato a osservare gli amori dei rospi o un paio di lepri impegnate in uno scontro di boxe tra i giovani stocchi del granturco, e ho pensato a tutte le persone importanti che sarebbero state liete di vietarmi quel piacere, solo che avessero potuto. Ma, per fortuna, non possono. Finché non siete veramente malato o soffrite la fame o avete paura o vi trovate rinchiuso in una prigione o in un villaggio turistico, la primavera è sempre primavera. Le bombe atomiche si ammassano nelle fabbriche, le polizie s’aggirano minacciose per le città, le menzogne piovono dagli altoparlanti, ma la terra continua a girare intorno al sole e né i dittatori né i burocrati, per quanto profondamente ostili alla cosa, sono in grado di impedirglielo.” – Nel ventre della balena, George Orwell.
Questo vale anche per i guardiani dei prigionieri?
“I guardiani di prigione conoscono un tipo di noia quasi egualmente grande quanto quella dei prigionieri, e i sottufficiali non sono molto più felici dei loro uomini.” – Aden Arabia, Paul Nizan.
Quindi potrebbe aver ragione lo stesso Nizan quando, sempre in Aden Arabia, scrive “[…] vidi una mattina il castello d’If e, davanti a bianche colline, Notre-Dame-de-la-Garde. Ero servito: i primi simboli che mi venivano incontro erano esattamente i più repellenti oggetti della terra: una chiesa, una prigione.”
E quando esci c’è qualcuno che ti aiuta a ricominciare?
“Se ero un malvivente, oggi, e nient’altro che un malvivente, è perché la giustizia l’aveva voluto. Aveva fatto di me un bandito, cioè un uomo costretto a presentarsi periodicamente ai controlli di polizia, un uomo a cui le grandi città erano chiuse, il lavoro rifiutato. […] “Pensare che esco di prigione e che dopo tre anni (mi sembra, tra parentesi, che sia più che sufficiente per un furto con scasso) non ho nemmeno la possibilità di vendere giornali. Ma allora, cosa mi resta da fare? Crepare?” La collera mi dava alla testa. “Bastardi!” sbottai, senza sapere bene con chi ce l’avevo. “Sporchi bastardi! Non uno che ti aiuti a uscire dalla merda, a ricominciare!”” – Gli sbirri hanno sempre ragione, André Héléna
È vero che si finisce per abituarsi a tutto anche quando si è in prigione?
“Al principio della mia detenzione, comunque, la cosa più dura è stata che avevo dei pensieri di uomo libero. […] In seguito non ebbi che pensieri di prigioniero. Aspettavo la passeggiata quotidiana che facevo nel cortile della prigione, o la visita dell’avvocato. Mi arrangiavo bene col tempo che mi restava. Ho pensato spesso, allora, che se avessi dovuto vivere dentro un tronco d’albero morto, senz’altra occupazione che guardare il fiore del cielo sopra il mio capo, a poco a poco mi sarei abituato. Avrei atteso passaggi di uccelli o incontri di nubi come, lì, attendevo le strane cravatte dell’avvocato e come, in un altro mondo, aspettavo pazientemente il sabato per avere il corpo di Maria. […] Del resto era un’idea della mamma, e lei lo ripeteva sempre, che si finisce per abituarsi a tutto.” – Lo straniero di Albert Camus.
Cosa t’insegna la prigione?
“[…] la prigione gli ha insegnato i falsi sorrisi e i modi untuosi dell’ipocrisia, la malizia strisciante e servile. Gli ha insegnato altri vizi, oltre che incallirlo in quelli di prima.” – Arancia meccanica, Anthony Burgess.
Cosa provano i prigionieri?
“Provano […] la profonda sofferenza di tutti i prigionieri e di tutti gli esiliati, che è vivere con una memoria che non serve a nulla.” – La peste, Albert Camus.
Perché ci sono tante prigioni?
“Credo che tutti al mondo, più o meno, abbiano provato il senso d’essere ripudiati. E a questo segue l’ira, e all’ira una forma di delitto come vendetta, e al delitto la colpa: ecco la storia dell’umanità. Se la ripulsa potesse essere amputata credo che l’uomo non sarebbe quello che è. Forse ci sarebbero meno pazzi. E sono sicuro, dentro di me, che non ci sarebbero tante prigioni. È tutto qui: il principio, la partenza.” – La valle dell’Eden, John Steinbeck.
Non ho ancora capito una cosa: ‘sto sistema funziona o no?
“[…] tiro su un muro, metto i buoni da una parte e dall’altra i cattivi. I cattivi li metto in galera, i buoni stanno fuori. Se funzionasse, capirei… ma non funziona!” – Incrocio di sguardi, Ascanio Celestini e Alessio Lega.
Ma davvero i buoni che stanno da una parte sono al sicuro?
“Però io vi avevo avvertito: la prigione là fuori pian piano si è allargata, e ormai i suoi muri sono quasi arrivati al vostro giardino.” – Mappe per amanti smarriti, Nadeem Aslam.
Quindi, se ho capito bene, potrebbe anche succedere che uno si senta dietro le sbarre pur senza finire in prigione, giusto?
“Si metteva in cammino, elemosinando un lavoro qualunque, finché le forze lo sorreggevano; ma non poteva rimaner fermo e non cessava di vagabondare per la città, sempre più magro, stravolto, volgendo intorno uno sguardo irrequieto e spiritato. Ovunque andasse, da un capo all’altro della città, incontrava centinaia di disgraziati come lui; ovunque, c’era il dispiego arrogante dell’abbondanza e la mano spietata dell’autorità che li ricacciava indietro. Ci sono prigioni e prigioni; c’è quella in cui l’individuo è costretto dietro le sbarre mentre tutto ciò che desidera si trova al di là e c’è quella in cui sono proprio le cose che desidera ad essere dietro le sbarre mentre l’individuo è al di fuori.” – La giungla, Upton Sinclair.
Ora che ho le idee un po’ più chiare, torno a dirvi che la penso come Italo Calvino che ne Il sentiero dei nidi di ragno scrive “Giuro che per tutta la mia vita combatterò perché non ci siano più prigioni […].”
Mi domando se chi compone la Commissione per la libertà vigilata degli Stati Uniti abbia mai letto un libro e, se l’ha letto, cosa aspetta a scarcerare Leonard Peltier; se invece non l’avesse mai letto, mi chiedo cosa aspetta a farlo.
Mi domando anche se la maggioranza che, in Italia, ha approvato norme che hanno portato a “417 anni di carcere in più, frutto dell’introduzione di 48 nuovi reati (una media di due al mese) e svariati inasprimenti di pena”, abbia mai letto un libro e, se l’ha letto, cosa aspetta a pensare a soluzioni diverse da questa pratica giustizialista; se invece non l’avesse mai letto, mi chiedo cosa aspetta a farlo.
Forse è grazie alla figura di Leonard Peltier, membro dell’American Indian Movement (AIM), che mi è venuto in mente questo passaggio di una storia Cheyenne intitolata Dove la ragazza salvò suo fratello: “[…] un centinaio d’anni fa, gli uomini bianchi volevano che gli Indiani andassero nelle prigioni chiamate “riserve”, per rinunciare alla loro libertà di errare e di cacciare il buffalo, per rinunciare ad essere Indiani. Alcuni si sottomisero senza opporre resistenza e si stabilirono dietro i fili spinati di quelle istituzioni, ma altri non lo fecero. Quelli che andarono nelle riserve per vivere come gli uomini bianchi furono chiamati “amici”. Quelli che non vollero andare furono chiamati “nemici”. In realtà, quelli non erano nemici. Loro non volevano combattere; tutto ciò che volevano era di essere lasciati in pace a vivere secondo il costume indiano, che era un buon costume. Ma i soldati non li lasciarono in pace. Decisero di effettuare una grande battuta a cavallo e di catturare tutti i “nemici”, di uccidere quelli che opponevano resistenza e portare indietro gli altri nelle riserve come prigionieri.”
Non c’è niente da fare, passano gli anni, i secoli, ma l’uomo bianco continua a vedere nemici ovunque. Anche in coloro che vogliono soltanto essere lasciati in pace. E pur di raggiungere l’obiettivo, va bene tutto: processi costellati di irregolarità, prove false e minacce ai testimoni.
A proposito di processi costellati d’irregolarità, vi ricordate degli anarchici Sacco e Vanzetti? Pensate, a volte neppure l’uomo bianco si salva dall’uomo bianco.
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