La denuncia di una Ong marocchina. I morti del fallito assalto alla frontiera sarebbero 37
di Marco Santopadre
Sui social – e ora anche sui maggiori media – continuano a rimbalzare le crude immagini della strage di Melilla: decine di corpi senza vita o agonizzanti impilati uno sull’altro e vigilati da un cordone di gendarmi marocchini in assetto antisommossa, ai piedi di una recinzione che venerdì 500 subsahariani hanno tentato di scavalcare per approdare nell’enclave spagnola in Marocco.
I bilanci ufficiali di Rabat sono stati ben presto raddoppiati; dalla vicina città marocchina di Nador le Ong hanno elevato il conteggio a 37 morti, che le autorità si stanno sbrigando a seppellire in alcune fosse comuni, denuncia l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani, senza identificazioni o autopsie. Immagini e racconti dei sopravvissuti hanno denunciato il trattamento brutale riservato ai migranti dagli agenti marocchini, il cui comportamento violento non è certo estraneo ai decessi per soffocamento o schiacciamento. Foto e video ritraggono gli agenti marocchini entrare in territorio spagnolo per «riprendersi» alcuni dei profughi che erano riusciti a varcare la frontiera.
Si possono quindi immaginare lo sconcerto e l’indignazione suscitati dalle dichiarazioni del leader socialista che si è premurato di elogiare e ringraziare i gendarmi marocchini per la riuscita delle operazioni di respingimento di quello che ha definito un tentativo organizzato di assalto violento alle frontiere dello stato, organizzato «dalle mafie che gestiscono la tratta di esseri umani». Non sono sfuggiti né il cinismo di una posizione improntata alla più cinica realpolitik – la necessità di consolidare le relazioni col regime di Mohammed VI a costo di sacrificare i diritti del popolo saharawi – e l’ipocrisia insita nel considerare il disperato tentativo di venerdì un’aggressione all’integrità territoriale spagnola mentre Madrid ha accolto senza indugi 100 mila rifugiati ucraini, bianchi e cristiani.
«È miserabile parlare di operazione ben fatta quando le immagini descrivono l’orrore di un massacro. Le nostre vite importano e sono al di sopra degli interessi politici» ha sottolineato Serigne Mbaye, deputato regionale di Unidas Podemos a Madrid. Il suo partito, come altri di sinistra, Amnesty International e decine di Ong e associazioni di migranti chiedono con forza un’indagine indipendente sulla strage di Melilla. Per i viola, però, diventa sempre più difficile differenziarsi dai socialisti e le dichiarazioni di Yolanda Díaz e di Ione Belarra – cordoglio per la perdita di vite umane ma nessuna critica esplicita a Sánchez – non aiutano, rischiando di vanificare il tentativo di strappare misure sociali più consistenti.
Proprio sabato l’esecutivo si era sforzato di dare un segnale di «svolta a sinistra» dopo la sconfitta in Andalusia. Dopo giorni di riunioni estenuanti con Up, il premier aveva annunciato la proroga al 31 dicembre del decreto di aprile, 15 miliardi in totale. Misure tampone in molti casi, con il Psoe fermo sul «no» all’aumento immediato del 10% della tassazione delle imprese energetiche, rimandato al 2023. Il nuovo pacchetto, però, può fregiarsi di nuove misure volte a raffreddare l’aumento dei prezzi, come il dimezzamento al 5% dell’Iva sull’elettricità, lo sconto sugli abbonamenti del trasporto pubblico, il bonus di 200 euro per lavoratori autonomi e dipendenti (preteso dai viola) e l’aumento del 15% delle pensioni d’invalidità e reversibilità (chiesto dalla sinistra indipendentista basca).
Domenica, però, migliaia di persone hanno manifestato a Madrid e in altre città contro il governo, denunciando l’Europa fortezza – «la violazione violenta della frontiera di uno stato non può essere tollerata» hanno ribadito la Commissaria europea agli Interni Ylva Johansson e il ministro degli Interni spagnolo Marlaska – e l’uso della violenza per impedire che sul suolo spagnolo arrivino persone che potrebbero godere della protezione internazionale fuggendo da dittature, guerre e sconvolgimenti climatici. «La strage è il risultato dell’esternalizzazione della protezione della nostra frontiera ad un paese che non rispetta i diritti umani» spiega Estrella Galán della Commissione Spagnola di Aiuto ai Rifugiati.
da il manifesto