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Una telefonata in carcere ti salva la vita

Il Ministero di (in)Giustizia spenderà milioni di euro per scoprire quei detenuti che dal carcere telefonano all’esterno. Non posso non essere d’accordo con le parole di Stefano Anastasia (Garante dei detenuti per le Regioni Lazio e Umbria) Quanti soldi sprecati e quanta fatica inutile: ma perché non consentire di telefonare liberamente a tutti i detenuti (la stragrande maggioranza) che non hanno la censura sulla corrispondenza?!? Ecco cosa avevo scritto quando potevo parlare con i miei familiari per soli dieci minuti a settimana:

Normalmente telefono di domenica. Verso l’una del pomeriggio. Quando ho più probabilità di trovare tutti i miei familiari a casa. Spero sempre soprattutto di trovare Michael e Lorenzo. Sono i miei due nipotini. Li penso di giorno. E di notte. Poi di notte. E ancora di giorno. Prima di telefonare sono sempre in agitazione. E guardo tutti i momenti l’orologio, e rimango teso dall’ansia fino a quando non faccio il numero di casa. Nel frattempo il pensiero dei miei figli inizia a poco a poco a occuparmi la mente. E il cuore. Finalmente è l’orario. Sono sempre in anticipo di qualche minuto. Non mi preoccupo tanto a casa lo sanno. Corro nella celletta dove c’è il telefono, accosto il blindato. E faccio il numero. Trovo la linea libera. Attendo qualche istante. Poi dalla parte del filo sento trattenere il respiro. Di sottofondo ascolto le voci dei miei due nipotini. Poi sento bisbigliare mio figlio. “Passami il telefono.” Ascolto un rumore di cuscino sbattere. “Sono arrivata prima io.” Subito dopo avverto un grugnito di mio figlio: “Sei una stronza, tanto papà vuole più bene a me che a te perché sono un maschio.” Sento mia figlia sospirare.

“Pronto.”

Da quando l’ho lasciata bambina è quasi sempre mia figlia Barbara che prende per prima il telefono.

“Amore.”

Si potrebbe dire che è da venticinque anni che mi aspetta vicino al telefono.

“Papà.”

È stata la prima cosa bella che i miei occhi hanno visto nella mia vita.

“Come stai?”

Da quando è nata è l’energia del mio cuore.

“Bene papà e tu?”

E della mia mente.

“Anch’io.”

Voglio bene ai miei figli anche perché sono diventate le persone che avrei voluto essere io nella mia vita.

“Ti vengo a trovare la prossima settimana.”

Spesso ho il senso di colpa di averli fatti crescere senza di me accanto.

“Va bene amore.”

Ho sempre paura di non essere stato un buon padre.

“Cosa vuoi che ti porto da mangiare?”

E questo pensiero mi fa stare spesso male.

“La focaccia con le cipolle.”

Quando telefono sembra che il tempo voli via.

“Va bene.”

E che non puoi fare nulla per fermarlo.

“Amore, adesso passami tuo fratello.”

Non ho mai capito perché quando telefono sembra che i secondi volino via come le foglie in autunno.

“Papà ti amo.”

Non li puoi afferrare.

“Anch’io amore.”

Con il passare degli anni sembra che i minuti del telefono diventino sempre più brevi.

“Papà, come al solito la Barbi s’è consumata tutta la telefonata lei.”

Se solo ci dessero più tempo.

“Lasciala stare, sai com’è fatta.”

E più telefonate.

“Papà ci sono i bambini che stanno aspettando.”

Mio figlio si lamenta sempre di sua sorella.

“Chi ti passo per primo?”

L’ho lasciato che aveva sette anni.

“Passami Lorenzo.”

Ormai è grande.

“Ti voglio bene papà.”

Continua però lo stesso ad abitare nel mio cuore.

“Anch’io figliolo.”

Mi ha dato due meravigliosi nipotini.

“Ciao nonno Melo.”

E adesso che sono anziano sono entrambi loro il centro del mio mondo.

“Ciao amore.”

Ed il principio del mio universo.

“Nonno quando vieni a casa?”

Sono il cielo della mia anima.

“Presto.”

La mia acqua nel deserto.

“Ce la fai a venire a casa prima che compio dieci anni?”

E i raggi del sole che riscaldano il mio cuore.

“Certo, adesso però amore passami tuo fratellino che la telefonata sta per finire.”

Quando parlo con i miei due nipotini la loro voce mi accarezza il cuore.

“Ciao nonno ti voglio tanto bene.”

M’immagino i loro visini.

“Anch’io tesoro.”

E mi viene ancora più voglia di abbracciarli.

“Ciao nonno.”

Michael è il più piccolo.

“Ciao amore.”

E più scalmanato di suo fratello.

“Lorenzo dice che le telefonate dove sei tu durano così poco perché le guardie sono cattive.”

Muovo la testa da una parte all’altra.

“No amore, non sono cattivi.”

Poi chiudo gli occhi.

“Allora perché non telefoni tutti i giorni?”

E penso a come rispondergli.

“Perché qua la linea si prende male e dobbiamo fare a turno per telefonare.”

Non voglio che imparino ad odiare lo Stato.

“Amore adesso passami la nonna perché ormai c’è rimasto poco tempo.”

La sua vocina si fa più dolce.

“Va bene nonno, ti voglio bene più di Lorenzo.”

Spero che i sogni a forza di crederci diventino veri.

“Ciao amore.”

E mi auguro di vedere crescere almeno loro.

Adesso è il turno della mia compagna.

“Carmelaccio.”

E scatta l’avviso che la telefonata sta per terminare.

“Amore Bello.”

Fra trenta secondi cadrà la linea.

“Il magistrato di sorveglianza ti ha risposto sul permesso che hai chiesto?”

Lei è sempre la più scalognata.

“Ancora no.”

E le rimangono solo una manciata di secondi.

“Porca miseria quanto ci mette?”

Non capirò mai perché ci danno così poco tempo per telefonare a casa.

“Non dire parolacce che le telefonate sono registrate.”

Mi sembra una pura cattiveria.

“Sono due anni che aspettiamo questa cazzo di risposta.”

In fondo la telefonata la paghiamo noi.

“Amore lo so, ma che possiamo farci?”

La presenza della mia compagna nel mio cuore mi aiuta a vivere giorno per giorno.

“A me dispiace per te.”

Senza di lei nel mio cuore non ce l’avrei fatta.

“E a me per te.”

Non ce l’avrei mai potuta fare.

“Carmelaccio sbrigati a venire a casa.”

Potrei fare a meno della libertà, ma non potrei certo fare a meno del suo amore.

“Penso che questa volta sia quella buona.”

Vivo grazie o per colpa del suo amore.

“Mandami un bacino.”

È stato facile amarla.

“Prima mandamelo tu.”

Impossibile smettere di amarla.

Cade la linea. E mi arrabbio perché come al solito io e la mia compagna non abbiamo avuto il tempo di mandarci neppure un bacio o di dirci qualche parola affettuosa. Sospiro. Mi sento di nuovo solo. In compagnia solo di me stesso. E contro tutto il resto del mondo. Ho il cuore pesante. Mi sento frustrato. E penso che le telefonate potrebbero essere più lunghe e più numerose. Ritorno nella mia cella come un lupo bastonato pensando al motivo perché il carcere ha così paura e terrore dell’amore dei nostri familiari e ci proibisce le telefonate libere e i colloqui riservati come accade negli altri paesi. Non riesco a trovare una risposta razionale. Penso solo che i buoni quando puniscono non sono meno spietati dei cattivi.

Carmelo Musumeci