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Tribunale della libertà conferma gli arresti per Anan, Alì e Mansour

L’Italia conferma la propria collaborazione con il progetto israeliano di repressione della resistenza palestinese. Anan Yaeesh, Ali Saji Rabhi Irar e Mansour Doghmosh palestinesi imprigionati a l’Aquila, Ferrara e Rossano Calabro con l’accusa di collaborazione con le Brigate Tulkarem con «finalità terroristiche tese a organizzare attentati suicidari in territorio israelo-palestinese, in particolare in Cisgiordania»,  rimangono in carcere.

Si è svolta martedì 4 aprile a L’Aquila l’udienza del Tribunale del Riesame contro la decisione di incarcerare i palestinesi Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di terrorismo internazionale in quanto Partigiani della Resistenza palestinese in Cisgiordania. Partigiani, perché la storia, soprattutto di Anan, parla direttamente di resistenza popolare, di resistenza di un popolo che non si è mai addomesticato e non si è mai sottomesso all’occupazione israeliana. E ancora oggi, dall’interno del carcere di Terni, Anan ha respinto le accuse di terrorismo rivolgendole ai suoi accusatori e persecutori. E’ inaccettabile accusare dei palestinesi di terrorismo con più di 40mila palestinesi uccisi a Gaza e decine di bambini fatti morire di fame!

Quindi la vicenda di Anan, e poi quella di Ali e Mansour, è sintomatica del piano politico che c’è dietro questi arresti, ed è emblematica della repressione della resistenza palestinese in Italia, che col governo Meloni ha assunto un ruolo di primo piano nell’alleanza con Israele anche sotto il profilo repressivo, innanzitutto quando ha accolto la richiesta di arresto di Anan a fini estradizionali, successivamente quando ha aperto a carico di Anan, Ali e Mansour un procedimento penale per 270 bis, riconducendo tutte le forme di resistenza palestinese al terrorismo internazionale.

L’udienza, difficile e complessa, era a porte chiuse, trattandosi di una camera di consiglio e Anan, Ali e Mansour hanno potuto partecipare ovviamente solo in videoconferenza. Si è conclusa verso le 13, quando la corte si è riservata di prendere una decisione nei prossimi giorni.

La Corte, in realtà, essendo composta principalmente da magistrati di diritto civile, quindi non preparati sotto il profilo penale, e tanto meno nel campo del diritto internazionale umanitario, per dare un giudizio obbiettivo, e quindi dar prova di terzietà, avrebbe bisogno di molto più tempo. Quindi anche in questo caso la tempistica della sentenza è importante.

Fuori del tribunale si è svolto un presidio

Radio Onda Rossa ne ha parlato con l’avvocato Flavio Rossi Albertini. Ascolta o Scarica

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