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Trump – Popolarità del trash / “fascismo democratico”, antipolitica e antintellettualismo

È interessante leggere quanto dicono coloro che “l’avevano previsto” e coloro che ancora non si danno pace. Il trionfo di Trump è presentato come uno sconvolgimento copernicano. Eppure ha diverse somiglianze non solo con la Brexit, ma anche con i successi di Berlusconi o di Erdogan, della destra polacca e ungherese, dell’attuale tiranno delle Filippine o anche di Grillo (che però non è la stessa cosa del M5S). Una giovane 23enne, assai colta, dice: ma com’è possibile che nell’epoca di internet, di Wikipedia, dell’accesso ormai universale e banale alle conoscenze prevalga il consenso al razzismo, al sessismo, al trash e alle violenze le più orribili (vedi i post su disabili picchiati o anche su atti di tortura messi in rete da parte di agenti delle polizie o militari). Evidentemente questa giovane crede ancora a quella funzione salvifica delle conoscenze che risale all’illuminismo. Ma le “rivoluzioni” che si sono succedute dalla fine del XIX secolo e in particolare quella neo-liberista dagli anni ottanta del XX in poi favoriscono una diffusione delle conoscenze a beneficio dei dominanti e quelle critiche solo fra una parte minoritaria della popolazione. La stragrande maggioranza della popolazione, invece, è alla mercé di una comunicazione quasi sempre bombardata da messaggi che non inducono certo alla riflessione critica nei confronti di propositi, atteggiamenti e comportamenti contro ogni umanità.

Così come la distanza fra ricchezza e povertà e fra dominanti e dominati è diventata sempre più mostruosamente gigantesca, lo stesso si può dire a proposito della distanza fra le cerchie sociali e morali dei professionisti della politica e degli intellettuali (gli uni e gli altri siano di destra, di centro o di sinistra). Si capisce così come in una congiuntura di devastante processo di destrutturazione economica, sociale, culturale e politica quale quella che viviamo dagli anni ottanta in poi la maggioranza della popolazione sia approdata alla quasi totale disillusione se non all’odio verso la politica, verso gli intellettuali, verso le cerchie dominanti (di destra e di sinistra) che a loro volta sono sempre più autoreferenziali.

Come osserva giustamente – fra pochi altri – lo scrittore Jonathan Lethem (intervistato da Viviana Mazza per il Corriere), “Trump incanta perché incarna la noncuranza nei confronti della ragione, della civiltà, della logica … è una figura profondamente anti-intellettuale” … “è una persona legata allo show business, non un autentico politico … è incapace di incarnare qualunque significato o valore … ma le persone ne hanno fatto il depositario dei loro autentici dolori e desideri” … Paradossalmente il successo di personaggi come Trump “è un fortissimo atto d’accusa contro i decenni di fantasie neoliberiste, e il fatto che abbiamo celebrato le élite, gli imprenditori e i vincitori del boom tecnologico e abbandonato le idee della vecchia sinistra … i miliardari decidono per il mondo, senza alcun contatto con la base, con i lavoratori, con i movimenti di liberazione ai margini della cultura».

Perché i blue collars, le banlieues della cintura rossa di Parigi o parte dei lavoratori della sinistra italiana sono diventati di destra o grillini o non votano più così come buona parte dei giovani nati fra la fine del XX e questa prima parte del XXI secolo? E perché le “schegge impazzite” dei giovani “senza futuro”, spesso oggetto di criminalizzazione razzista, diventano persino terroristi? Che cosa dovrebbe attirarli e convincerli ad aderire alle proposte dei politici e ai discorsi degli intellettuali? Dagli anni ottanta in poi la maggioranza di queste due categorie è approdata al neo-liberismo e quindi al deserto delle menti dei dominati. Foucault suggeriva di decostruire le scienze politiche e sociali per capire il discorso che il dominio fa diventare potente e pervasivo affinché sia interiorizzato da tutti come proprio (la biopolitica). Ora sembra essere approdati a un non-discorso in opposizione a tutti i discorsi. Non siamo difronte al fascismo o al nazismo del XX secolo, ma a una sorta di fascismo democratico che sembra nutrirsi soprattutto di popolarità del trash, dell’antipolitica, dell’antintellettualismo e del “mi piace” per la violenza. Spesso il dominato che subisce questa tende a rifarsi sul più debole che può sottomettere.

È probabile che Trump non durerà molto se disturba troppo gli orientamenti e obiettivi dell’apparato della prima potenza mondiale e delle grandi lobby che continueranno a gestire il potere a prescindere da lui. Non a caso il suo primo discorso da presidente è stato moderato e conciliante, volto a rassicurare tutti. Ma, come è stato col berlusconismo che ha permeato l’Italia e continua a governare con la maggioranza parlamentare del governo Renzi, l’esperienza Trump (come il Brexit ma anche come Sarkozy e la sua continuità con Hollande e Valls) aggraverà la frattura fra élite e maggioranza della popolazione. Non solo distanza fra ricchezza e povertà, fra potere e non-potere, ma sarà ancora più evidente l’impossibilità del mantenimento delle promesse.

E allora in cosa si trasformerà il fascismo democratico? Probabilmente in una nuova ondata di assassinii di neri e di latino-americani, della tolleranza zero e anche di resistenze a volte disperate. Allo stesso tempo aumenteranno le neo-schiavitù degli indocumentados ma anche dei migranti regolari e di poveri statunitensi, e aumenteranno i diversi crimini non solo finanziari dei white collars e sarà favorita la libertà di provocare crimini sanitari-ambientali cioè l’aumento dei malati di cancro e altri disastri. Insomma il neo-liberismo dell’amministrazione Trump promette di più di quanto hanno già conosciuto gli Stati Uniti da Reagan a Bill Clinton ai Bush. Ma l’isolazionismo sarà alquanto improbabile mentre le guerre permanenti continueranno a riprodursi. La maggioranza del senato e della camera sembra ben lungi dall’avallare tutte le promesse di Trump: gli Usa continueranno a pretendere di essere la prima potenza mondiale così come l’abbiamo conosciuta dal dopo 11 settembre 2001, approfittando anche della nullità politica europea e dell’avallo del governo del Brexit nel Regno Unito.

Dati sul voto

Usa, aventi diritto di voto: 220 milioni (su 325 milioni di abitanti)

“Voto popolare”, voti validi: 120.195.359 (54,6 %)

per Hillary Clinton: 59.798.978 (27,2  %)

per Donald Trump: 59.594.262 (27,09  %)

per altri: 802.119 (0,364  %)

(fonte Associated Press, elaborazione Repubblica, ultimo aggiornamento: 10 novembre)

Quindi Trump è stato eletto dal 27% degli elettori; nel 2012 Obama non aveva fatto molto meglio: 28,5 %; il sistema elettorale Usa come quello di quasi tutti i paesi non favorisce per nulla la partecipazione … ciò dà ragione a chi pensa che la democrazia è un’impostura!)

NB: nel 1990 gli Usa contavano 250 milioni di abitanti, oggi 75 milioni in più grazie non tanto alla natalità ma alla “naturalizzazione” degli immigrati soprattutto messicani; allo stesso tempo in questi 26 anni gli Usa hanno continuato a beneficiare di oltre 13 milioni di immigrati irregolari (che però sono costretti a pagare le tasse) nonostante 400 mila e a volte un milione di espulsioni l’anno e le centinaia e a volte migliaia di ammazzati alla frontiera messicana. Al di là della demagogia razzista di Trump, è più probabile che la schiavizzazione degli immigrati irregolari aumenterà e la regolarizzazione e la naturalizzazione diminuirà.

Salvatore Palidda

pubblicato anche su Alfabeta2 e in francese su blogs.mediapart