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“Un giorno ci vergogneremo di questi delitti di Stato”

Intervista al giurista Luigi Ferraloli

di Angela Stella da l’Unità

“Uno dei fattori di distruzione dello Stato di diritto è precisamente la violazione dei diritti delle persone ed anzi la negazione dell’identità di persona dei migranti”, dice il giurista Luigi Ferrajoli a proposito delle norme del “pacchetto sicurezza”. Lo abbiamo intervistato a margine della manifestazione promossa ieri dall’Unione camere penali contro il ddl governativo.

Ma Ferrajoli si scaglia anche contro il protocollo con Tirana: “La deportazione dei migranti in Albania è chiaramente un sequestro di persona, dato che quei migranti sono stati sequestrati in mare, mentre esercitavano il diritto di emigrare, e deportati contro la loro volontà in un luogo di detenzione. Ma evidentemente per i nostri governanti questi disperati non sono persone, ma cose, che possono essere impunemente prelevate, private della libertà personale e rinchiuse in un campo di concentramento. Ebbene io credo che la questione migranti sia oggi il banco di prova del tasso di civiltà di un ordinamento; e che di queste nostre politiche dovremo un giorno vergognarci”.

Professore cosa pensa in linea generale di questa norma?

È un “pacchetto sicurezza” demagogico e propagandistico, ancor più dei tanti altri che l’hanno preceduto. Ne è prova il fatto che l’Italia è uno dei Paesi più sicuri del mondo: sono circa 300 gli omicidi ogni anno, su una popolazione di circa 59 milioni. La principale finalità di questo disegno di legge è in realtà quella di ottenere il consenso degli elettori, con misure ingiuste e inutilmente repressive che stigmatizzano soprattutto le differenze: quella dei migranti, quella dei tossicodipendenti, quella della piccola devianza. Il suo effetto principale, purtroppo, consiste nel produrre un abbassamento del senso morale a livello di massa. Giacché sempre la disumanità, quando è ostentata a livello istituzionale, ha un effetto performativo, di contagio. Non capiremmo il fascismo e i totalitarismi se ignorassimo questo ruolo performativo del senso morale che ha l’esibizione ufficiale della disumanità da parte delle istituzioni. Ciò che tuttavia è più allarmante in questo disegno di legge è la lesione da esso provocata dei principi dello Stato di diritto.

Lei nel suo intervento ha parlato innanzitutto della repressione del dissenso politico…

Sì, esso viene messo in atto non solo con questo disegno cosiddetto sulla sicurezza, ma con tutti gli altri provvedimenti adottati da questo governo in materia penale. Sono duramente punite – con la previsione talora di nuovi reati, talora di pesanti aggravamenti di pena per reati già esistenti nel nostro ordinamento, talora con l’ampliamento delle misure di prevenzione – tutte le espressioni del dissenso provenienti da manifestazioni di piazza di gruppi pacifisti, o ecologisti o in difesa dei migranti e dei diritti umani: sit in, blocchi stradali puniti da sei mesi a due anni se commessi da più persone, danneggiamenti, resistenza di qualunque tipo a pubblici ufficiali. Sono norme che non limitano soltanto il diritto di riunione, ma anche la libertà di manifestazione del pensiero: giacché la riunione, lo dichiarò Filippo Turati nel marzo del 1900 nel dibattito parlamentare sui decreti liberticidi del governo Pelloux, è il solo medium di cui dispongono i comuni cittadini, i quali non scrivono libri, non parlano in televisione, non scrivono sui giornali ma possono solo esprimere il loro pensiero con le loro manifestazioni collettive di protesta.

Secondo molti giuristi intervenuti insieme a lei all’evento dei penalisti questo ddl mira soprattutto a comprimere i diritti dei migranti. Che ne pensa?

Uno dei fattori di distruzione dello stato di diritto è precisamente la violazione dei diritti delle persone ed anzi la negazione dell’identità di persona dei migranti. La deportazione dei migranti in Albania è chiaramente un sequestro di persona, dato che quei migranti sono stati sequestrati in mare, mentre esercitavano il diritto di emigrare, e deportati contro la loro volontà in un luogo di detenzione. Ma evidentemente per i nostri governanti questi disperati non sono persone, ma cose, che possono essere impunemente prelevate, private della libertà personale e rinchiuse in un campo di concentramento. Ebbene, io credo che la questione migranti sia oggi il banco di prova del tasso di civiltà di un ordinamento; e che di queste nostre politiche dovremo un giorno vergognarci.

Non dimentichiamo che il diritto di emigrare fu teorizzato in Europa – nel 1539, da Francisco de Vitoria – quando servì a legittimare la conquista e la colonizzazione del nuovo mondo. Oggi che l’asimmetria si è ribaltata e sono i disperati della terra che fuggono dalla miseria e dal sottosviluppo generati prima dalle colonizzazioni e poi dalle nostre politiche liberiste, l’esercizio di quel diritto si è trasformato in delitto e ha fatto la sua ricomparsa, in Europa, la figura della persona illegale per la sua sola identità.

A proposito di politiche migratorie, cosa pensa dello scontro tra Governo e magistratura sulla questione Albania?

Il disprezzo per lo stato di diritto si rivela anche nell’aperta violazione della separazione dei poteri o, meglio, nella totale ignoranza di questo principio elementare dello Stato di diritto ostentate dal nostro governo. La nostra presidentessa del Consiglio, di fronte alla mancata convalida da parte del Tribunale di Roma del trasferimento in Albania di 16 migranti, ha espresso il suo enorme stupore per il fatto che la magistratura italiana non collabori con il governo e ha addirittura ipotizzato una possibile congiura dei magistrati contro di lei. Non solo. Senza neppure attendere la pronuncia della Corte di giustizia europea, interpellata dal Tribunale di Bologna sui cosiddetti “paesi sicuri”, il governo ha annunciato che in questa settimana riprenderà le deportazioni dei migranti in Albania.

Si tratta di un attacco allo stato di diritto, di cui l’indipendenza del potere giudiziario dal potere politico è un tratto per così dire costitutivo e, insieme, di un’aperta manifestazione di disprezzo nei confronti dell’Unione europea, dato che con questa iniziativa il governo ha palesemente contestato il primato del diritto europeo sul diritto statale. Ma il rapporto tra giustizia e politica, tra potere giudiziario e potere politico, è oggi deformato dal dissesto della legalità penale.

Ci spiega meglio?

Si è calcolato che abbiamo, in Italia, 35mila figure di reato sparse nei provvedimenti legislativi più disparati, formulate in termini non solo vaghi e indeterminati ma addirittura incomprensibili, a causa degli innumerevoli rinvii ad articoli e commi di altre leggi e degli interminabili e intricati labirinti normativi nei quali rischia sempre di perdersi qualunque interprete. È chiaro che una legalità dissestata apre spazi di arbitrio al potere giudiziario e alimenta l’illegittima creatività della giurisdizione. Sono decenni che propongo un rafforzamento della riserva di legge tramite la sua trasformazione in una riserva di codice: tutte le norme in tema di reati, di pene e di processi nel codice penale e in quello di procedura. La politica lamenta l’arbitraria interferenza dei giudici nella sfera della politica. C’è un solo modo che ha la politica per sottomettere i giudici alle leggi: fare bene il suo mestiere, cioè produrre leggi chiare, precise e tassative, ovviamente nel rigoroso rispetto dei principi costituzionali.

Eppure il ministro Nordio che si era detto da sempre a favore di depenalizzazione oggi condivide provvedimenti che aumentano i reati e le pene…

Il ministro della Giustizia Nordio, gran parte degli esponenti dell’attuale maggioranza, come già Berlusconi e i suoi sostenitori, si professano garantisti. Si tratta di un garantismo della disuguaglianza e del privilegio, che pretende l’impunità per i ricchi e i potenti e promuove la disumanità nei confronti dei poveri e degli emarginati, destinati a pene draconiane, carcere duro e lesioni della loro dignità di persone: un garantismo della disuguaglianza che si è platealmente manifestato fin dalla legge di conversione n. 199 del 30.12.2022 con cui fu inaugurata la politica penale di questo governo: da un lato l’aumento da 26 a 30 anni della pena espiata dagli ergastolani prima che si possa concedere loro la liberazione condizionale e la previsione della pena da 3 a 6 anni per le occupazioni “di terreni o edifici altrui al fine di realizzare un raduno musicale”; dall’altro in un regalo ai soli condannati per peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione, consistente nella soppressione, per tutti costoro, del regime del carcere ostativo previsto dall’art. 4-bis, che era stato ad essi esteso dalla legge n. 3 del 9.1.2019.

Dato questo quadro, cosa resta da fare?

Non c’è costituzione, affermò l’art. 16 della Dichiarazione francese dei diritti del 1789, ove vengano a mancare la separazione dei poteri e la garanzia dei diritti. È precisamente questo che sta accadendo in Italia. Ed è contro questa mutazione dello stato di diritto in uno stato di polizia che dobbiamo lanciare il nostro allarme ed esercitare il nostro diritto-dovere di resistenza. Prima che sia troppo tardi.

 

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