Un’eccellente storia dei gas lacrimogeni e delle repressioni delle lotte nel mondo
- marzo 02, 2022
- in misure repressive, recensioni
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Recensione del libro Breve storia dei gas lacrimogeni, autrice: Anna Feigenbaum (http://annafeigenbaum.com) edito in Italia da edizioni Malamente, 1a ed. orig. Tear Gas: From the Battlefields of WWI to the Streets of Today, Verso; acquistarlo qui: https://edizionimalamente.it/catalogo/breve-storia-dei-gas-lacrimogeni/
di Salvatore Palidda
Generazioni e generazioni di manifestanti e militanti hanno visto e inalato i gas lacrimogeni, e spray al peperoncino. Eppure, quasi nessuno conosce non solo la storia terribile di quest’arma ma i suoi effetti a breve e anche a lunga distanza. Io stesso che per circa 60 anni ho partecipato a tantissime manifestazioni in Italia e in Francia e ho visto centinaia di documentari su cariche delle polizie, non sapevo nulla della storia scioccante dei lacrimogeni e dello spray al peperoncino sugli effetti che provocano. Mi pare quindi più che doveroso ringraziare le edizioni Malamente di aver tradotto e pubblicato in italiano questo importantissimo libro perché, non solo fa conoscere la storia e gli effetti di queste maledette armi, ma è anche uno strumento prezioso per la storia delle pratiche repressive delle polizie. La diacronia che illustra l’autrice, docente di Digital Storytelling presso il Department of Communication and Journalism della Bournemouth University (UK) è infatti un eccellente excursus che parte dalla prima creazione del gas lacrimogeno (alla fine del XIX) per mostrare poi come diventa di fatto sino a oggi l’arma da guerra prediletta per colpire i manifestanti. Ma questo libro è anche la storia dei molteplici movimenti che dalla fine del XIX sino a oggi si sono confrontati con le brutalità poliziesche e militari sin dalle resistenze alla colonizzazione nei diversi paesi del mondo.
Ecco un sommario excursus del libro
I gas lacrimogeni trovano subito largo e diffuso impiego sia nei confronti delle popolazioni colonizzate in Asia, in Africa e in America Latina, sia nei confronti dei lavoratori e della popolazione quando protestano contro super sfruttamento, ingiustizie e soprusi: è l’“uso in tempo di pace delle tecnologie di guerra”. La militarizzazione delle polizie così come la pratica poliziesca delle forze militari sono sempre state operanti e sono diventati ancora più importanti.
Lo sviluppo industriale e in particolare quello della chimica fece diventare la ricerca e la produzione degli armamenti un settore particolarmente lucrativo. Da allora intere schiere di ricercatori, imprenditori, gruppi finanziari e banche, commercianti, personaggi tuttofare, spie, politicanti e giornalisti embedded si sono impegnati strenuamente per il successo di questo settore e in particolare dei gas lacrimogeni.
I primi sforzi per vietare l’uso di armi chimiche in guerra furono portati sul tavolo alle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907” (p.35).
Fedele allo stile americano, il generale Amos Fries fu perfino più brusco: “Perché́ gli Stati Uniti o qualsiasi altro paese altamente civilizzato dovrebbero rinunciare alla guerra chimica? Dire che il suo uso contro i selvaggi non sarebbe una tecnica di combattimento giusta perché́ i selvaggi non ne sono dotati è un’assurdità (p. 41).
“I lacrimogeni possono essere sparati senza remore nel momento stesso in cui la folla appare e comincia a formarsi” (p.43).
Da notare che in questa ricostruzione storica che propone l’autrice si constata appunto come la “teoria dei gas lacrimogeni” diventa valida dall’inizio del XX° secolo sino ai nostri giorni! Infatti sin da allora si afferma che “le armi chimiche sono il segno di una società civilizzata”. Per il generale Fries i gas bellici erano il definitivo ritrovato tecnologico americano; rappresentando il collegamento tra scienza e guerra, erano l’emblema della modernità industriale” (p. 49).
[Fries] studia con attenzione le questioni riguardanti l’uso di gas e fumi nel trattare tanto le folle interne quanto i selvaggi, … “non appena le forze dell’ordine e gli amministratori coloniali avranno familiarizzato con i gas come un mezzo per mantenere ordine e potere, ci sarà̀ una tale diminuzione di disordini sociali e sollevazioni di selvaggi da equivalere alla loro scomparsa” [p. 51].
C’è qui lo stesso paradigma che induceva i discepoli di Lombroso a suggerire che gli scioperanti rivoltosi (diventati classi pericolose), così come i meridionali, i sardi e i siciliani (perché refrattari alla “civilizzazione” piemontese dello stato unitario) dovevano essere “trattati col ferro e col fuoco al pari dei rivoltosi della Numibia” che osavano ribellarsi contro la colonizzazione italiana[1].
Il veterano dell’esercito statunitense A. Reid Moir sosteneva che i gas non solo erano disumani, ma addirittura «infernali»: «è forse umano giacere a terra colto da dolori strazianti, con lo stomaco gonfiato dai gas in espansione e i polmoni divorati da vapori mortali, mentre si tossisce la propria vita tra agonizzanti convulsioni?». La risposta dei militari a simili obiezioni sostiene falsamente che avrebbero causato solo un dodicesimo delle morti rispetto ai proiettili (p.52). E il generale Fries respinse le testimonianze dei veterani denigrandoli come: «simulatori che affermano di essere stati gasati solo per richiedere al governo i sussidi per invalidità̀ di guerra» (come si diceva che i feriti al fronte si fossero auto-mutilati per farsi mandare a casa). Fries è palesemente un estremista militare, razzista e anticomunista che nel secondo dopoguerra troverà una sorta di suo omologo in MacCarty e le sue persecuzioni[2]. Ma la vittoria di Fies e dei suoi successori fu indiscutibile: “il gas lacrimogeno si andò fissando nella retorica dell’immaginario pubblico come alternativa umanitaria all’uso delle armi da fuoco” (p.53).
“Lo slogan della Lake Erie – «Un uomo solo armato di gas bellici può metterne in fuga mille» – si trovava in calce a ogni suo materiale pubblicitario (degli armamenti e lacrimogeni) e prometteva «una irresistibile esplosione di soffocante dolore» che non avrebbe lasciato lesioni permanenti” (p.62). Negli Stati Uniti l’uso massiccio di lacrimogeni divenne frequente sin dall’inizio del XX° secolo e poi soprattutto durante la terribile crisi economica del 1929 e negli anni successivi.
Ricordiamo che ci sono territori che da un secolo sono gasati: “Ulteriori appoggi all’adozione dei lacrimogeni vennero dalla situazione politica in Palestina dopo le rivolte del 1929 (p. 84; allora colonia del Regno Unito … oggi peggio visto che ai lacrimogeni si affianca ogni sorta di dispositivo e armamento feroce per massacrare). La decisione di gasare i palestinesi presto si diffuse in tutto l’impero britannico (87).
Nel frattempo gli impieghi di successo includevano la Germania (usato contro gli operai di Amburgo in sciopero nel 1933), l’Austria (per disperdere rivoltosi comunisti nel 1929), l’Italia (la polizia fascista aveva come equipaggiamento standard granate di gas lacrimogeno) e la Francia (dove il suo uso era già̀ stato consentito) (p.88).
“La testarda cecità̀ di fronte ai danni che causavano i lacrimogeni venne a galla a metà degli anni Quaranta. In India la polizia usava granate di produzione statunitense; furono immagazzinate nella prigione centrale di Peshawar, nell’attuale Pakistan. Nel maggio del 1947, in una giornata afosa e senza vento, furono sparate nell’affollato cortile della prigione. Il 20 maggio del 1947, 1.100 detenuti stavano nel cortile della prigione. Il primo lancio riempì di gas lo spazio angusto. Seguirono altre granate, che spinsero i prigionieri a fuggire verso le loro celle. Furono lanciate altre trentotto granate. Senza vento e in spazi ristretti, i fumi tossici ristagnarono dalle quattro alle cinque ore, con effetti persistenti per oltre sedici ore dopo gli attacchi (p.92). I detenuti furono vittime di vapori tossici (lacrimazione, congiuntivite, tosse, vertigini, nausea, vomito e stati di incoscienza). Ci furono poi ventotto casi di «piccole ferite multiple o incisioni nette e poco profonde, causate da schegge, frammenti metallici infilati nella carne, ferite di lesioni cutanee con ustioni di primo e secondo grado. Il resoconto riportava poi solo la morte di un uomo con vomito di sangue (ematemesi) e feci nere e catramose (melena).
Durante le diverse guerre di colonizzazione dei vari paesi dominanti i gas -fra cui la famigerata iprite- furono usati abbondantemente; fra queste guerre l’Italia fascista si distinse per la sua ferocia (si veda il documentario Fascist legacy[3]).
Nei primi anni Cinquanta nasce il moderno gas CS. Sebbene la vendita e produzione britannica di gas lacrimogeni non superasse quella statunitense, il Regno Unito finì per imporsi come luogo di ricerca e sviluppo per le tecnologie anti-sommossa. Il gas CS, perfezionato dai britannici, resta ancora oggi il composto di gas lacrimogeno più̀ diffuso al mondo (p.95).
«Il CS produce effetti immediati anche a basse concentrazioni. Gli effetti irritanti durano anche da cinque a dieci minuti quanto basta per permettere alla polizia la dispersione di un raduno e distruggere lo spirito collettivo di una dimostrazione: «durante questo lasso di tempo le persone sono incapaci di un’azione concertata». C’è infatti anche disorientamento e incapacitazione persino totale. Con la sua capacità di disorientare, debilitare e causare panico, il gas lacrimogeno indebolisce: ciò̀ fa crescere o moltiplica l’efficacia delle altre pratiche repressive, come il pestaggio con i manganelli, i colpi a pallini e le cariche della polizia e oggi anche i flashball tanto usati dalla polizia francese contro i gilets gialli (101).
Durante le lotte degli anni ’60 per i diritti civili negli Stati Uniti i neri erano aggrediti anche da segregazionisti bianchi. “I gas accompagnavano pestaggi e sberleffi che subivano nella loro sfida alla imperante segregazione razziale. Il gas lacrimogeno veniva lanciato nei loro bus e penetrava nei loro luoghi di riunione e persino nelle abitazioni dove cerano bambini.
L’utilizzo dei lacrimogeni in spazi ristretti è estremamente pericoloso: aumenta il livello di panico e intensifica la tossicità̀, che può̀ portare a seri danni ai polmoni e anche alla morte per soffocamento (109).
Nell’agosto del 1968 a Chicago la “settimana di disobbedienza civile” diventò lo storico caso di brutalità poliziesche con un impiego gigantesco di lacrimogeni. “Le granate di gas lacrimogeno cascavano ovunque, dietro la barricata e attraverso gli alberi. Si sparse una enorme nube di gas e i poliziotti con le maschere antigas a ondate, usarono i fucili d’assalto come mazze e colpendo con il calcio del fucile chiunque fosse a tiro, anche i residenti non manifestanti (p.112). “Il gas si infiltrò nelle case, nelle automobili, nei ristoranti e coprì interi condomìni”. “I lacrimogeni venivano spruzzati direttamente in faccia alla gente, schiacciata contro il muro dalla polizia”.
Mesi dopo, “l’immagine più rappresentativa di un uso di massa dei lacrimogeni negli anni Sessanta resta quella dell’elicottero che sparge gas sulla folla disarmata mentre sorvola Sproul Plaza, al centro dell’Università̀ di Berkley. La polizia irrorava di gas CS gli studenti alla stessa maniera in cui l’esercito spargeva napalm sulla popolazione vietnamita” (116). Nel 1969 sempre a Berkley, la Berkley Daily Gazette descrisse gli incroci come «camere a gas a cielo aperto». Anche elicotteri militari sparavano lacrimogeni. A volte il gas fu diffuso persino da camion cisterne che lo contenevano.
Dal 1971 si sviluppò negli Stati Uniti ancora di più l’interazione fra militari e polizie: la strategia del Pentagono, col nome Garden Plot, stabiliva le relazioni fra esercito, Guardia nazionale e polizia cittadina per contrastare il dissenso in oltre centoventi città (125). In questo periodo di modernizzazione del controllo antisommossa ci furono esperti dell’esercito che divennero celebrità̀ nel settore dell’ordine pubblico. Il libro, Riot Control, scritto da un veterano militare accusa “marxisti ed estrema sinistra di mirare a prendere il potere e a destabilizzare la società”. Quest’autore diventa uno degli «architetti dei moderni SAS» (forze speciali dell’esercito britannico); il libro gli fu commissionato dalla Schermuly Ltd, l’azienda fornitrice di attrezzature antisommossa, fra cui gas CS, manganelli e pallottole di gomma (128).
Oltre al Mace, il Pepper Fog, spray al peperoncino della GOEC con marchio registrato nel 1968, prometteva di «isolare o liberare strade, piazze, edifici o panchine in pochi attimi, senza contaminazione!». Applegate esaltava le capacità di questo spray per «far sgomberare in sicurezza e senza violenza» raduni pacifici (p.132).
Contro l’evidenza che i gas e anche lo spray al peperoncino sono dannosi e in certi casi letali, la “scienza” (embedded) ha sempre preteso affermare che i gas sono “sicuri”.
Dopo decenni di prove sui danni provocati dai gas è stata sempre confermata la scelta di mantenere l’ordine pubblico con l’uso del veleno contro manifestanti e popolazione (p.170).
Il dottor Steve Wright, esperto di storia dell’ordine pubblico e della sicurezza, scrisse che i cambiamenti in questo campo si connettono alla crescente impostazione neoliberale del governo di Margaret Thatcher: “Un assunto fondamentale per motivare l’uso di tecniche avanzate di controllo delle masse è che aumentano la potenza dello Stato e le sue capacità repressive, secondo un criterio di convenienza economica. L’idea è che maggiore è l’uso della forza concesso all’agente di polizia, maggiore sarà̀ la sua produttività̀ repressiva di fronte a una folla”. Dagli anni ’70, il dominio capitalista-liberista fa spesso ricorso alla gestione brutale dei presunti “disordini” come modalità di supporto al supersfruttamento e al massacro delle possibilità e capacità di agire sociale e politico dei dominati (da i casi più noti di Seattle e Genova 2001 sino alle cariche dei picchetti nel 2021 e a quelle degli studenti nel 2022).
Nel 1996 “gli anatomopatologi della polizia affermano che “il CS non ha causato seri danni a coloro che ne sono stati irrorati o indirettamente esposti” (p.174).
Un “banale” fatto recentissimo che mostra l’effetto dello spray peperoncino: A Verona sedici studentesse sono rimaste intossicate dopo che una 14enne ha spruzzato in classe spray al peperoncino – tre sono state portate in ospedale in codice giallo, le altre in codice verde[4]. Da notare che anche in Italia il commercio dello spray al peperoncino è ormai del tutto libero e il pericolo del suo uso e abuso è diventato sempre più pericoloso.
Il business della repressione
Intanto, non mancano i “giri di denaro attorno allo spray al peperoncino. Nel 1996 fu rivelato che alcuni importanti studi a supporto della sicurezza dello spray al peperoncino erano sostenuti da un agente dell’FBI pagato dai principali produttori di questi spray (184).
E si arriva così ai lacrimogeni contro il movimento “no-global” a cominciare dal gigantesco uso di gas da parte della polizia canadese. E al G8 di Genova 2001, la polizia non risparmiò i gas: “Poliziotti ovunque, armi ovunque, carri armati! L’intera città era piena di gas lacrimogeno. Veniva lanciato dagli elicotteri e dagli appartamenti dei piani alti. Solo la fortuna ti poteva salvare da pestaggi violenti e cariche. Nemmeno i pacifisti e le persone dall’aspetto tranquillo, tipo gli avvocati, erano al sicuro” (p. 188). Si veda il dossier citato in nota[5].
La perpetua pratica delle brutalità e in particolare dell’uso dei gas (CS e peperoncino) da parte delle polizie del mondo intero è ovviamente la scelta che i dominanti ritengono assolutamente indispensabile per massacrare i dominati che osano ribellarsi. Non va però dimenticato che tale scelta è supportata anche dalla “rendibilità” economica che è insita nell’impiego della forza poliziesca e quindi dei dispositivi, armamenti, gadget e strumenti di ogni sorta fra i quali granate lacrimogene per la dispersione della folla, flashball, droni e videosorveglianza a tappeto -sebbene palesemente inutile (p.200).
Dal 1984 ogni anno si tiene a Parigi Milipol, la più grande esposizione europea sulla sicurezza interna (ne abbiamo raccontato l’edizione del 2019 e quella del 2021 negli articoli indicati in nota[6]).
L’odierno complesso industriale internazionale degli equipaggiamenti antisommossa è capeggiato da una manciata di pezzi grossi: l’Ispra israeliano (Israel Product Research Co.), la Rheinmetall Denel Munitions tedesco-sudafricana, Condor Non-Lethal Technologies in Brasile, le francesi Sae Alsetex, Verney- Carron e Nobel Sport, oltre alla triade statunitense di produttori di lacrimogeni: Combined Systems Inc., Non-Lethal Technologies e Safariland, a cui si deve aggiungere anche il produttore di spray al peperoncino Sabre. I lacrimogeni sono prodotti anche in molti paesi europei, in Canada, Turchia, India, Pakistan e, in via crescente, nel sudest asiatico, dove Cina e Corea del Sud rivendicano pacchetti azionari nel mercato. Il tasso di crescita annuale è stato del 5,4% tra il 2016 ed il 2021. In Italia è la Simad spa, la fabbrica di Carsoli[7] che produce i gas lacrimogeni al CS e al CN che furono usati al G8 di Genova (vedi nota 5 interrogazione sen. Martone).
Il libro si conclude con il capitolo intitolato “Dalla resilienza alla resistenza” (228). In tutti i paesi si è svilupapata una certa solidarietà̀ transnazionale in materia di resilienza ai gas lacrimogeni, agevolata dai social media e dalle tecnologie mobili che consentono ai dimostranti di far circolare consigli sulle prime cure, modelli di maschere antigas e tecniche per rilanciare indietro le granate (evitando di ferirsi). Non mancano i tentativi legali per contrastare l’uso dei gas e il suo aumento auspicando di far riconoscere che “il gas lacrimogeno opera in una forma di «controllo atmosferico»; avvelenando l’aria, rende infatti impossibile l’espressione delle proprie idee in pubblico, quindi il diritto a manifestare.
L’autrice illustra infine il progetto #RiotID a cui partecipa e la guida tascabile per documentare e identificare le armi che si pretendono “non letali”, tradotta in otto lingue (si veda anche link in nota[8]).
Questo libro è frutto di oltre cinque anni di ricerca rigorosa sulla storia dei movimenti e sulla loro repressione in tantissimi paesi del mondo; è di grande ricchezza e utilità non solo per i militanti, ma per avvocati, magistrati, operatori sociali, giornalisti, storici e ricercatori sui movimenti.
Aggiungiamo che appare più che mai essenziale la necessità indicata dal movimento Black Live Matter di lottare per l’abolizione delle polizie perché -come le carceri- sono istituzioni forgiate per la repressione di ogni istanza anche solo pacifica rispetto ai dominanti. L’attuale eterogenesi delle pseudo-democrazie mostra che è una pia illusione credere in una possibile democratizzazione delle polizie e delle carceri.
Note:
[1] Vedi Vito Teti, La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, Manifestolibri, 2011
[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/maccartismo_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/ ; si veda anche il film J. Edgar di Clint Eastwood; J. Edgar Hoover, fu ininterrottamente capo del Federal Bureau of Investigations (FBI) per circa mezzo secolo, dal 1923; vedi https://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/non-solo-j-edgar-hoover-la-caccia-ai-rossi-negli-stati-uniti/
[3] https://www.ariberti.it/pensieri-sparsi/fascist-legacy-uneredita-scomoda.html?subscribe=success#subscribe-blog-blog_subscription-8
[4] https://corrieredelveneto.corriere.it/verona/cronaca/22_febbraio_11/verona-spray-peperoncino-una-scuola-13-ragazzi-intossicati-grave-dfd27f34-8b2a-11ec-9173-b9837819889e.shtml
[5] Come dice l’avvocato Nicola Canestrini, Genova Legal Forum, “la legge del 18 aprile 1975, numero110 per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, permette di dire che i candelotti al CS vanno classificati come armi da guerra”. Il CS rientra appunto tra gli “aggressivi chimici” inclusi nell’elenco. “Lo ha confermato la Cassazione”, aggiunge Canestrini, “con una sentenza del 1982”, prima che il CS fosse dato agli agenti. Il CS è entrato nella dotazione delle forze dell’ordine italiane nel 1991, con il Decreto del presidente della Repubblica n.359. Dopo l’Italia ha ratificato nel 1995 la Chemical Weapons Convention, l’ultimo trattato internazionale sulla messa al bando delle armi chimiche, entrato in vigore nel 1997 (vedi http://www.laboratoriopoliziademocratica.org/Stampa/questionario%20cs.htm e anche Martone: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=14&id=52663). Nella sentenza della Cassazione penale Sez. 6 Num. 30140 Anno 2021 (https://www.armietiro.it/wp-content/uploads/2021/08/Cassazione-penale-gas-CS.pdf) la bomboletta spray è considerata arma comune da sparo, ponendo l’accento sia sulla natura del gas in essa contenuto, qualificato come un “aggressivo chimico”, per le sue potenzialità nocive. La Corte (Sez. 2, n. 946 del 09/07/1981, dep. 1982, Boscarolo, Rv. 151891) ha anche considerato quali armi da guerra i candelotti lacrimogeni poiché compresi tra gli “aggressivi chimici”. Tuttavia questa stessa sentenza ricorda: “L’impiego del gas CS è, inoltre, consentito alle sole forze di polizia (si veda, al riguardo, l’articolo 12, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 1991, n. 359, che, con riferimento agli artifici sfollagente per lancio, sia a mano che con idoneo dispositivo o con arma lunga, precisa che «entrambi sono costituiti da un involucro contenente una miscela di CS o agenti similari, ad effetto neutralizzante reversibile»). In realtà questa sentenza si rivela contraddittoria e sempre riverente rispetto ai poteri conferiti alle polizie. Di fatto le autorità italiane non hanno mai accettato una valutazione scientifica indipendente della dannosità dei CS e CN.
[6] Vedi qui per il 2019 https://www.osservatoriorepressione.info/milipol-mostruoso-salone-mondiale-della-sicurezza-interna/ e qui per l’edizione 2021 https://www.osservatoriorepressione.info/sicurezza-privata-privatizzazione-delle-polizie/
[8] https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/lesioni-e-avvelenamento/armi-in-grado-di-provocare-stragi-di-massa/agenti-chimici-antisommossa