Menu

USA: È rivolta nel nome di Breonna Taylor

Louisville e altre città Usa in piazza dopo il colpo di spugna del gran giurì sulla morte della giovane infermiera. Trump applaude: «Decisione brillante»

Proseguono le mobilitazioni di Black Lives Matter nelle strade degli Stati Uniti, contro il razzismo strutturale e la violenza poliziesca. In particolare ieri, mercoledì 23 settembre, la rabbia è esplosa nelle strade di Louisville, Kentucky, dopo la sentenza del Gran giurì che ha incriminato – lievemente e con la possibilità di pagare la cauzione – soltanto uno dei tre agenti di Polizia indagati per l’omicidio della giovane infermiera afroamericana Breonna Taylor, uccisa il 13 marzo 2020 con otto colpi di pistola durante un’irruzione nella sua abitazione. I manifestanti hanno eretto barricate sulle principali arterie della città. Il sindaco democratico, Greg Fischer, ha dichiarato lo stato d’emergenza imponendo il coprifuoco alle 21, chiudendo al traffico 25 isolati del centro, chiudendo uffici pubblici e tribunali fino a nuovo ordine e precettando gli agenti della polizia in turni di 12 ore.

Nel frattempo prosegue anche la campagna elettorale verso le elezioni presidenziali previste per novembre. In questo momento una partita importante ruota intorno alla nomina di una nuova giudice della Corte suprema che vada a sostituire Ruth Bader Ginsburg, deceduta la scorsa settimana.

Non solo. Un altro tema importante è quello dei cosiddetti “stati in bilico”. La Florida, ad esempio, è uno stato decisivo e negli ultimi giorni la propaganda di Trump e di Biden si sta concentrando su quel territorio che è uno dei maggiormente popolati degli States e può spostare un numero consistente di voti. Al momento, secondo i sondaggi, qui sarebbe testa a testa tra i due con un lieve vantaggio dell’attuale presidente. Tra l’altro proprio Trump, per conquistare i voti degli esuli cubani, numerosi in Florida, durante una commemorazione dell’invasione della Baia dei Porci del 1961 – con il tentativo fallito di rovesciare Fidel Castro – ha annunciato nuove sanzioni contro l’Havana con il divieto per i viaggiatori americani di soggiornare in strutture del governo di Cuba e limitando ulteriormente l’import di sigari e rum dall’isola caraibica. In più, una delle due possibili nuove giudici della corte suprema che avrebbe in mente Trump è una americana-cubana (Barbara Lagoa), e anche questa potrebbe essere una mossa efficace in Florida. Un altro stato decisivo nel voto di novembre è l’Arizona, anche qui per i sondaggi lo scarto tra i due candidati sarebbe al momento minimo.

Abbiamo parlato di tutto questo con Ferruccio Gambino, sociologo e studioso della storia e della società statunitense. Ascolta o scarica.

da Radio Onda d’Urto

******

È finita a botte, il gran giurì sull’omicidio di Breonna Taylor – due poliziotti assolti per la sua morte in un’irruzione antidroga, uno accusato per i colpi finiti nella casa accanto. Botte distribuite dopo cortei sempre più arrabbiati a Louisville, Kentucky. E a Washington, New York, Chicago, Oakland, Seattle, Los Angeles, Las Vegas, Atlanta, Philadelphia, Nashville… Vibrano per simpatia, le città americane, con poco orgoglio e molta rabbia.

A LOUISVILLE IL COPRIFUOCO dalle 21 all’alba è servito solo a moltiplicare gli arresti, circa 130 al termine della notte, con due agenti feriti a colpi di pistola mentre inseguivano manifestanti in fuga. «Say her name», dite il suo nome, hanno cantato per tutto il giorno migliaia di persone superando le barricate fatte ereggere dal sindaco democratico Fischer, prima che con il buio divampassero gli scontri e 500 soldati della Guardia nazionale venissero liberati per le strade. Guardia nazionale sguinzagliata anche a Chicago (qualcuno li odiava, i nazisti dell’Illinois). Molotov e arresti a Portland, sgomberi violenti a San Diego.

La polizia in piazza a Louisville (Ap)

Donald Trump celebra: «Decisione brillante», il procuratore di Louisville «è una stella nascente» del Partito repubblicano, se serve l’esercito «basta chiedere». Il ticket democratico Joe Biden-Kamala Harris non riesce a schiodarsi da una moderazione imbarazzante, «è stata una tragedia» e «la violenza non è una risposta» le sole banalità che propone. Non riesce e non vuole, spaventata di spaventare tutti quei bei voti moderati se solo ammettesse il legame che esiste tra disordine e ingiustizia. Un legame che ormai marcia in ogni città d’America.

LA RABBIA INFIAMMA I SOCIAL media. La rabbia cieca di Colin Kaepernick, il quarterback di San Francisco che per primo mise un ginocchio a terra per i neri ammazzati (e da allora non trova una squadra): «L’istituzione suprematista bianca poliziesca va abolita». Quella di LeBron James: «Volevamo giustizia per Breonna, abbiamo avuto giustizia per i muri di casa dei vicini». Justin Bieber: «Vergognati, Kentucky». George Clooney, che in Kentucky è nato: «Breonna è stata uccisa da tre agenti bianchi».

Agenti che torneranno utili molto presto. Ieri Donald Trump ha clamorosamente evitato di impegnarsi per una transizione pacifica dopo le elezioni, vinca chi vinca.

IL PRESIDENTE USCENTE già diffonde l’idea dei brogli, dovesse impugnare il risultato di qualche grosso stato gli servirà ogni poliziotto d’America per non far esplodere il paese. Come gli servirà ogni giudice e soprattutto la Corte suprema. Fischiato ieri mentre rendeva omaggio alla salma di Ruth Ginsburg, domani Trump dovrebbe nominare la sostituta. Saranno suoi 6 giudici su 9, mai successo. Non è giustizia, è politica.

Ed è stata tutta politica la scelta del gran giurì. Il procuratore capo che ha selezionato le prove per il giurì è un nero conservatore, David Cameron, eletto solo dieci mesi fa e pupillo del leader repubblicano al senato Mitch McConnell (l’uomo che ha spianato la strada a Trump per il prossimo giudice supremo), oratore all’ultima convention repubblicana. Sua facoltà era scegliere quali elementi fornire al giurì e quale reato ipotizzare. Su entrambe le questioni ha rifiutato ogni domanda, in una conferenza stampa di oltre un’ora iniziata con «gli agenti erano autorizzati a sparare».

DOPO OLTRE 100 GIORNI anche le prove sono materiale controverso, due o tre ritocchi e un omicidio diventa una tragedia senza colpevoli. Un misterioso testimone di cui si è appresa l’esistenza solo ora ha detto di aver sentito la polizia qualificarsi prima di sfondare la porta di Breonna Taylor. Fino a ieri i vicini l’avevano negato, come pure il fidanzato di Breonna. L’uomo, Kenneth Walker, che terrorizzato per l’irruzione sparò un colpo e ne ricevette indietro 32, non ha mai avuto precedenti e aveva il porto d’armi. L’ex fidanzato ricercato per spaccio, Jamarcus Glover, era stato già catturato: lo avevano trovato a mezzanotte a un altro dei cinque indirizzi di cui era stata autorizzata l’irruzione no knock, senza annunciarsi. Ma sul verbale qualcuno ha (malamente) grattato 12,00 facendolo diventare 12,40 (alle 12,45 l’irruzione da Breonna, alle 12,50 Breonna era morta). Infine, due diverse perizie – la scientifica di Louisville e Fbi – hanno studiato il proiettile che ha ucciso Breonna: per la scientifica non si può capire chi l’ha sparato, per il Fbi è stato l’agente Cosgrove.

Molto opportuno, visto che quello che ha sparato alla cieca, è stato licenziato ed è l’unico incriminato (per «negligenza») è il collega Hankison.

Roberto Zanini

da il manifesto