In molte città italiane i richiedenti asilo non riescono nemmeno ad accedere alle questure. Così un diritto fondamentale viene svuotato
di Gianfranco Schiavone
Il diritto di asilo è innanzitutto poterlo chiedere: se questa possibilità non esiste o viene ostacolata si tratta di un diritto solo proclamato ma non accessibile. Molte volte su questa rubrica abbiamo esaminato come le attuali politiche dell’Unione europea siano orientate a impedire, alle frontiere esterne, l’accesso al diritto di chiedere asilo tramite respingimenti illegali e barriere, fisiche e tecnologiche, che ostacolano l’ingresso in un Paese dell’Ue. All’interno del territorio degli Stati europei, invece, impedire alle persone di presentare domanda d’asilo sembrerebbe impossibile, perché le norme non lasciano alcun margine di azione in tal senso. Eppure succede anche questo.
A Milano, da anni, ma con maggior vigore dal 2021, nel silenzio generale (compresa l’amministrazione comunale) l’accesso agli uffici della questura preposti alla ricezione delle domande di protezione internazionale viene consentito a una decina di persone al giorno (numero risibile per una metropoli di tali dimensioni) per asserita mancanza di interpreti e di personale amministrativo. Viene impedita la possibilità di prendere appuntamento (in persona presso gli uffici, oppure via posta elettronica semplice o certificata) e l’unico sistema possibile è quello di mettersi in coda, giorno dopo giorno, notte dopo notte, bivaccando all’esterno, sperando di entrare prima o poi. A tale a situazione, nel luglio 2022 si aggiunge il fatto che molti richiedenti asilo hanno iniziato a ricevere ordini di allontanamento -con annessa sanzione di 100 euro- ai sensi degli articoli 9 e 10 della legge 48/2017, così motivati: “Bivaccava unitamente ad altre numerose persone […] impedendo la libera fruizione dell’area verde pubblica”. A parte l’aspetto beffardo, si tratta di provvedimenti illegittimi perché assunti senza considerare lo stato di necessità nel quale si trovano le persone costrette a “bivaccare” nell’area: non per spregio o diletto ma per le inadempienze della Pubblica amministrazione.
Nella non lontana Piacenza, con ancora maggior durezza, chi si presenta per chiedere asilo non viene proprio ammesso alla procedura. E, per far meglio comprendere ai destinatari tale concetto, sono stati emanati numerosi decreti di espulsione nei quali si sostiene che gli stranieri non avevano mai manifestato l’intenzione di chiedere asilo. Non si tratta di situazioni paradossali e isolate: dal Nord al Sud Italia viene diffusamente ostacolata e persino impedita la presentazione delle domande di asilo a coloro che, nel pieno rispetto della legge, si presentano spontaneamente agli uffici preposti.
Il sistema dissuasivo più efficace per ridurre il numero dei richiedenti e facilitarne la dispersione tra gli irregolari o spingerli a recarsi in altri Paesi europei rimane comunque il mancato accesso all’accoglienza. La normativa è sul punto, quanto mai chiara perché dispone che “le misure di accoglienza […] si applicano dal momento della manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale” (d.lgs. 142/2015 art. 1). L’accoglienza dei richiedenti privi di mezzi è dunque un diritto che va assicurato con immediatezza. Accade invece spesso l’opposto: neppure dopo l’ardita impresa di accedere alla questura per presentare la domanda d’asilo i richiedenti vengono inseriti nel sistema di accoglienza dal momento che questo passaggio viene rinviato a dopo la verbalizzazione della domanda. Una procedura per la quale la legge dispone il termine di tre giorni, ma che si dilata fino ad alcuni mesi durante i quali la sopravvivenza in Italia di chi ha chiesto protezione ed è privo di mezzi non sembra essere un affare delle istituzioni.
In questo sistema di illegalità strutturale quelle istituzioni che rispettano la legge per ciò che riguarda la ricezione delle domande e l’accesso alle strutture di accoglienza soccombono perché si diffonde la notizia che in quella mirabile città la legge funziona. Di conseguenza le persone vi si recano in massa, ne segue una dura chiusura dopo la quale i disperati riprendono il loro game in cerca del prossimo luogo meno inaccessibile, cercando intanto di schivare i decreti di espulsione.